Diario di bordo
Roberto Fantini. Bombe italiane utilizzate dall’Arabia Saudita in Yemen  
Conversazione con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia
28 Novembre 2015
 

Amnesty International, a metà di agosto, con un suo dettagliatissimo rapporto (intitolato Nessun luogo è sicuro per i civili: attacchi dal cielo e da terra nello Yemen), ha accusato le forze della coalizione a guida saudita e i gruppi armati favorevoli e contrari agli houti di aver ucciso centinaia di civili, tra cui decine di bambini, in azioni militari a Ta'iz e Aden equivalenti a crimini di guerra.*

Nel rapporto si illustrano le rovinose conseguenze dei bombardamenti contro zone residenziali densamente abitate e degli attacchi da terra, indiscriminati e sproporzionati, compiuti dalle forze pro-houti e da quelle anti-houti, evidenziando una strategia di bombardamenti su aree densamente popolate, nei pressi delle quali, nella maggior parte dei casi, non è stato possibile rinvenire alcun obiettivo militare.

«Le forze della coalizione», ha affermato Donatella Rovera, alta consulente per le crisi di Amnesty International, «sono del tutto venute meno all'obbligo, previsto dal diritto internazionale umanitario, di prendere le misure necessarie per ridurre al minimo le perdite civili. Gli attacchi indiscriminati che provocano morti e feriti tra i civili costituiscono crimini di guerra».

A fine ottobre, poi, Amnesty International Italia, unitamente alla Rete Italiana per il Disarmo e all'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Difesa e Sicurezza (OPAL) di Brescia, ha fatto richiesta al Governo italiano di sospendere l'invio di bombe e armamenti a tutti i paesi militarmente impegnati nel conflitto in Yemen, dichiarando inaccettabile che, mentre l'Unione Europea attua la scelta di assegnare il Premio Sakharov al blogger saudita incarcerato Raif Badawi (condannato a subire 1.000 frustate), dall'Italia siano partite nuove bombe destinate all'Arabia Saudita, principale responsabile dei bombardamenti che – senza alcun mandato internazionale – da sette mesi stanno causando migliaia di morti (e indicibili sofferenze) tra i civili della popolazione yemenita.

In questi ultimi giorni, poi, a seguito delle sconcertanti dichiarazioni del Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, secondo cui le forniture italiane di bombe aeree all'Arabia Saudita sarebbero "regolari" e "nel rispetto della legge", le suddette organizzazioni hanno fatto richiesta di un incontro urgente con il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per chiarire la posizione del Governo italiano sulle esportazioni di armamenti.

 

A Riccardo Noury, portavoce ufficiale di Amnesty Italia, abbiamo chiesto di provare a fare il punto della questione.

 

Quali richieste sono state avanzate al Governo italiano e che tipo di risposte, al momento, sono state rilasciate?

Abbiamo chiesto, ormai diverse volte negli ultimi mesi, al governo di sospendere ogni trasferimento di armi verso l'Arabia Saudita. Al momento queste richieste non risultano accolte e, rispetto al silenzio imbarazzato delle scorse settimane, ora il governo – attraverso il ministro della Difesa – rivendica la legittimità dell'invio di bombe alle forze armate saudite.

 

Quanto incide la nostra fornitura militare sull’apparato bellico dell’Arabia Saudita? E quali sono gli altri grandi fornitori internazionali?

Ha la sua parte rilevante, anche se i principali fornitori sono gli Usa, che hanno trasferito armi per un valore di 1 miliardo e 300 milioni di dollari. Per quanto riguarda l'Italia, solo l'azienda coinvolta nei recenti invii, la RWM, ha spedito negli ultimi tre anni forniture all'Arabia Saudita per oltre 60 milioni di euro.

 

La condizione dei diritti umani, in Arabia Saudita, stando a quanto si evince dal Rapporto 2014-2015 di Amnesty International, appare tutt’altro che felice. Si parla, infatti, di discriminazioni sessuali e religiose, di arresti e detenzioni arbitrari, di torture, maltrattamenti, di numerose condanne a morte. In esso leggiamo, tra l’altro, che «Il governo ha imposto rigide restrizioni alle libertà d’espressione, associazione e riunione e ha represso duramente il dissenso, arrestando e incarcerando persone che lo avevano criticato, compresi difensori dei diritti umani. Molti hanno affrontato procedimenti giudiziari iniqui, celebrati da tribunali che non hanno rispettato le procedure dovute», equiparando al terrorismo le critiche nei confronti del governo e altre attività del tutto pacifiche.

Certamente, il caso di Raif Badawi ha goduto, a livello mediatico, di una qualche visibilità. Quante situazioni analoghe, assai meno note, sono state recentemente registrate?

Di prigionieri di coscienza, condannati per reati di opinione, ne contiamo almeno 10, tra cui lo stesso avvocato di Raif. I principali fondatori e dirigenti della più importante organizzazione per i diritti umani, l'Associazione saudita per i diritti civili e politici, stanno scontando pesanti condanne. Ci sono poi i casi dei due al-Nimr, zio e nipote, sceicco il primo, attivista il secondo della minoranza religiosa sciita, entrambi condannati a morte. Da ultimo, c'è il caso di un poeta palestinese condannato a morte a metà novembre per aver messo in dubbio l'esistenza di Dio...

 

In questi ultimi anni, le ricerche condotte da Amnesty International sono state in grado di constatare qualche significativo miglioramento della salute dei diritti umani in Arabia Saudita?

Al contrario, abbiamo assistito a un peggioramento. Le leggi antiterrorismo emanate di recente hanno prodotto già i primi danni, con arresti arbitrari e processi irregolari. Il numero delle condanne a morte eseguite fin qui nel 2015 è arrivato a 150, un record negativo. C'è poi sempre la questione della discriminazione nei confronti delle donne, cui, come è noto, è impedito di guidare da sole e di prendere importanti decisioni sulla loro vita (sposarsi, viaggiare all'estero, intraprendere una carriera universitaria o professionale, persino sottoporsi ad alcuni interventi chirurgici) senza l'autorizzazione di un "tutore", di solito un parente maschio.

 

Molti commentatori e opinionisti, in questi ultimi giorni, indicano spesso l’Arabia Saudita fra i massimi finanziatori dell’Isis: ipotesi azzardate o degne di essere prese in considerazione?

Si è molto speculato su questa ipotesi. Che l'Isis abbia ricevuto almeno inizialmente sostegno dalle monarchie sunnite del Golfo, Arabia Saudita inclusa, è indubbio. Fondazioni private (che però in paesi del genere possono operare solo col consenso o con l'autorizzazione dei governi), in Arabia Saudita e in Kuwait, hanno finanziato l'Isis. Addirittura uomini delle forze di sicurezza del Bahrein sono stati scoperti tra le fila del gruppo armato. A un certo punto, gli obiettivi delle monarchie sunnite e dell'Isis non sono più coincisi e l'Isis, da strumento da armare per rovesciare il presidente siriano Assad, è diventato una minaccia per i regimi dell'area. Ufficialmente, il flusso di aiuti e armi è terminato. Sottolineo l'avverbio ufficialmente...

 

Roberto Fantini

(da Free Lance Internationale Press, 26 novembre 2015)

 

 

* Bombe italiane all'Arabia Saudita: inaccettabile che per il Ministro Pinotti sia "tutto regolare" (Amnesty International, 20/11/2015).


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