Diario di bordo
Valter Vecellio. Burkina Faso un golpe che ci riguarda (anche se non ci pare)
03 Ottobre 2015
 

Impegnati, “distratti” da quanto accade in quello scacchiere che va dall’Irak alla Libia, poca o nessuna attenzione si presta a quel che accade in un paese dell’Africa francofona, il Burkina Faso; non è questione centrale, a quanto pare. Quello che si muove ad Ouagadoungou e dintorni, tuttavia, va tenuto d’occhio; per quello che accade; e perché accade.

Quello che accade lo si può agevolmente riassumere così: il 16 settembre uomini del Régiment de Sécurité Présidentielle (RSP) irrompe nelle sale del Consiglio dei Ministri, arresta il presidente Michel Kefando e il primo ministro Yacouba Isaac Zida; il giorno successivo si annuncia lo scioglimento del governo. Il Generale Gilbert Diendéré si autoproclama presidente, in qualità di Capo Supremo del Consiglio Democratico Nazionale: organismo creato ad hoc dalla Guardia Presidenziale per mascherare il fatto che una giunta militare, illegalmente, vuole controllare il paese.

La notte tra il 21 e il 22 settembre l’esercito entra nella capitale Ouagadoungou, e lancia un ultimatum al leader del colpo di stato, il generale Diendéré. L’esercito e i golpisti si accordano per evitare l’uso della forza. Il 23 settembre Kefando riprende le sue funzioni di presidente. Le trattative con i golpisti proseguono. Secondo la BBC, negli scontri che ci sono stati tra RSP e manifestanti fedeli a Kefando, una decina di persone perdono la vita. La situazione appare confusa. I militari del RSP non consegnano le armi, pare abbiano preso degli ostaggi; il capo dei golpisti Diendéré dice e non dice; Kafando istituisce una commissione che valuti chi debba essere ritenuto responsabile del golpe e giudicato di conseguenza. I conti personali di Diendéré e di altre tredici persone coinvolte nel golpe, ad ogni buon conto, sono congelati. Quelli che sono stati individuati, ovviamente.

Il tentato golpe avviene 26 giorni prima delle elezioni presidenziali (fissate per il 11 ottobre 2015), e lo stesso giorno della pubblicazione del rapporto sulla riesumazione e autopsia del leader e fondatore del Paese, Thomas Sankara (foto).

Sankara… Chi è costui? Questo volto e nome compaiono in uno dei molti manifesti affissi a mo’ di galleria, nei corridoi della sede radicale a via di Torre Argentina, a Roma. Un manifesto dove compare il volto di Sankara di profilo, lo sfondo è blu notte, e si legge: “Gli amici africani, gli amici radicali, i nonviolenti, messa in memoria di Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso”, e una striscia gialla: “Il mio ultimo messaggio: la tolleranza”. Sankara era poi stato uno dei più validi sostenitori dell’iniziativa radicale, negli anni ’80, contro lo sterminio per fame nel mondo, che aveva il suo cardine in un manifesto-appello politico firmato da oltre cento premi Nobel di tutte le tendenze, le opinioni, le religioni, le filosofie e gli orientamenti politici. Lo guardo, quel manifesto, e l’inconfondibile voce di Marco Pannella che dice: “Si era iscritto anche lui al Partito Radicale”, c’è un velo di commozione mentre lo dice. Così comincio a informarmi del Burkina Faso…

Diendéré nel tentativo di spiegare le ragioni del golpe, afferma che “era dovere morale e costituzionale mettere fine alla grave situazione di insicurezza manifestatasi in Burkina Faso. Dinnanzi al caos siamo stati costretti a passare all’azione con delle misure transitorie per impedire la destabilizzazione del Paese”. Garantire ordine e sicurezza è, da sempre, la foglia di fico di golpisti e dittatori, Diendéré non sfugge alla regola. Ma un fondo di verità c’è: Diendéré (e chi trama e muove Diendéré) vuole garantire l’ordine “minacciato” da quei movimenti e quei gruppi politici che un anno fa mettono fine a 27 anni di pugno di ferro esercitato con spietata determinazione da Blaise Compaoré; quel Compaoré che si impadronisce del potere il 15 ottobre 1987, ricordato come “giovedì nero”: quando l’allora presidente Sankara, un tempo suo amico, viene assassinato.

Un colpo di Stato e un delitto che ci portano in Europa, precisamente in Francia, all’epoca il presidente era François Mitterrand (ma conta poco se sia di destra o centro o sinistra, chi alloggia all’Eliseo, quando si tratta di interessi reali e concreti); all’epoca l’interesse di Parigi è bloccare il processo avviato da Sankara: che le sue brave rivoluzioni le fa: riforma agraria, nazionalizzazione di settori chiavi dell’economia e della finanza, riforme sociali e politiche; senza appoggiarsi all’Occidente, senza allinearsi al blocco sovietico. Presuntuoso… Quadruplicata la produzione agricola, c’è autosufficienza alimentare, programmi di sviluppo si estendono, all’insegna di “un pozzo, una scuola, un ospedale per ogni villaggio”; e poi istruzione, scuole, emancipazione femminile: lo slogan di quei giorni è “Insegniamo agli uomini ad essere padri e amanti non padroni”. Può durare uno così? La Francia dice di no; agli Stati Uniti uno che non dice “Yes” mattina e sera piace poco; il resto dell’Occidente semplicemente se ne frega; i paesi africani poi si sfregano le mani soddisfatti: un “cattivo esempio” eliminato.

Si dice che il destino di Sankara sia deciso a Parigi, una riunione il 4 settembre 1987, da un particolare comitato franco-africano costituito in seno all’Eliseo. Si dice che Parigi, ma anche Londra e Washington, si convincono che è bene togliere di mezzo Sankara dopo un suo infiammato intervento ad Addis Abeba, durante i lavori dell’Organizzazione dell’Unità Africana; in quella sede Sankara invita gli africani a seguire l’esempio del Burkina Faso, a rovesciare i tiranni, a tener testa ai diktat della Banca Mondiale… Certo, Sankara è pericoloso, ha un mucchio di idee che non vanno, le vuole anche mettere in pratica… via, via.

Il guaio è che in Burkina Faso, anche se è passato tanto tempo, Sankara non l’hanno dimenticato; il guaio è che c’è chi vuole governare come avrebbe governato lui… Il guaio è che anche ragazzi che non erano ancora nati quando c’era lui, e quando l’hanno ammazzato, hanno il suo manifesto affisso in camera, e manifestano scandendo il suo nome, e vai a capire quale nonno o zio glielo ha raccontato chi era e cosa si era messo in testa di fare…

Il guaio è che questo mito non c’è solo in Burkina Faso; ora lo trovi in Senegal, in Congo, in Burundi… Ma si può? No, che non si può. Questi sono paesi i cui popoli muoiono di fame e malattia, ma sono ricchi, sono pieni di risorse energetiche, di metalli preziosi; e con i dittatori, è noto, un accordo lo si trova sempre; con le democrazie e gli idealisti è più difficile, vedi mai che non si corrompano, che ci credano davvero a quello che dicono… Meglio non rischiare che il contagio dilaghi. Perché il rischio c’è: quella coalizione che si ispira direttamente a Sankara, e quel Balai Citoyen (la “scopa dei cittadini”), che spopola tra i ragazzi, accidenti a quel cantante rapper Serge Bambara detto Smonkey; e anche quell’altro, il reggae Sms’K Le Jah, cosa mai gli è venuto in mente di far quel movimento… L’hanno fatto, però; e sono seguiti… e Compaoré deve fare fagotto. Ma sentili, anche loro: lavoro, terra, progresso, benessere, abitazioni decenti; democrazia perfino…

Vi sorprende che Diendéré (un generale); Aziz Korongo (altro generale); e Celeste Coulibay (quando si dice, anche lui generale), decidano, “ispirati”, di attuare un golpe? Si tratta di evitare il caos, di garantire l’ordine e la sicurezza.

Sarà un caso. Diendéré, Korongo, Coulibay sono tutti alti ufficiali della RSP sono stati addestrati da Parigi, i militari e i servizi segreti; sarà un caso, ma Diendéré vanta una solida amicizia sia con Nicolas Sarkozy che con l’attuale presidente François Hollande; sarà un caso ma Korongo (che guida gli “squadroni della morte”), e Coulibay (capo della RSP ai tempi di Compaorè) dopo la caduta del regime hanno trovato rifugio in Francia; è un caso che siano stati istruttori francesi a creare la Scuola Tecnica Militare di Ouagadoughou (EMTO) e la Scuola Nazionale di Vocazione Regionale (ENVR) dove si sono formati centinaia di alti ufficiali provenienti dalle colonie africane; sarà un caso che ufficialmente la RSP era sotto il comando diretto di Compaorè, ma sostanzialmente dipendeva da Parigi, e sarà sempre un caso che i reparti della RSP venivano fatti sfilare alla parata militare in Francia per la festa nazionale francese del 14 luglio?

Non è un caso se caduto Compaorè, Parigi si mobilita allo spasimo per impedire che la RSP venga sciolta: serve per meglio difendere e tutelare gli interessi geo politico-finanziari-strategici della Francia in quella parte di mondo. Non è un caso se Compaoré riesce a fuggire dal Paese, grazie ad un commando francese arrivato in suo soccorso inviato dal presidente Hollande, e si rifugia in Costa d’Avorio prima, in Marocco dopo; non è un caso se si favoleggia di due “istruttori” di rango, il Luogotenente Colonnello Bertrand Mortemard de Boisse, e il Luogotenente Colonnello Claude Lhussier; incaricati di addestrare le forze speciali africane presso militare della RSP in Burkina Faso? E perché puntare su Diendéré? Ha qualcosa a che fare la sua “lealtà” verso Parigi, la personale amicizia con Hollande, e l’ex ambasciatore francese in Burkina Faso, Emmanuel Beth? È fantasia immaginare che la Francia, nonostante le ufficiali condanne di Hollande, in qualche modo c’entri, abbia influito e ispirato questo golpe, e che lo scopo sia bloccare per la seconda volta il processo riformatore sognato, “visto” da Shankara? Perché no, se si tiene conto di come Parigi gioca in Mali e in Repubblica Centrafricana, in Camerun e in Nigeria, in Ciad e in Libia; e come vuole giocare in Siria e dintorni?

Tutto sommato, il Burkina Fasu non è così remoto, una sua importanza ce l’ha, vero?

 

Valter Vecellio

(da Notizie Radicali, 2 ottobre 2015)



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