Arte e dintorni
L’Armonia del vero. Vita e paesaggi tra terre e acque 1842 – 1932
18 Settembre 2015
 

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo; ove per poco

il cor non si spaura.

Giacomo Leopardi, l’Infinito

 

Si è aperta nella splendida e sontuosa Villa Contarini, a Piazzola sul Brenta, (una vera e propria reggia, più che una normale villa veneta), una grande mostra, “L’armonia del vero. Vita e paesaggi tra terre e acque (1842/1932)”, a cura di Luisa Turchi (catalogo Allemandi), aperta fino al 30 novembre 2015.

La curatrice ha selezionato tele che descrivono la vita popolare, il paesaggio lagunare e agricolo dell’entroterra veneto, quello che ebbe nelle campagne e nelle grandi ville, con i loro lussureggianti giardini, il suo fulcro. Un percorso scandito da sessantacinque magnifici dipinti, noti e meno noti, della metà dell’Ottocento fino ai primi decenni del Novecento, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private.

Due sono i filoni del racconto espositivo. Il primo introduce il visitatore nell’ambito delle scene di genere a carattere aneddotico che obbediscono ai caratteri del “Vero” e della contemporaneità, ritraendo il popolo nelle sue abituali occupazioni giornaliere, nella quiete domestica delle case in Giuseppe Barison e Vittorio Emanuele Bressanin, nell’affaccio alle finestre o al balcone di eleganti gentildonne, da Eugenio De Blaas e Stefano Novo a Virgilio Costantini, nelle piazze animate di città o nell’atto di esercitare i mestieri, in Cecil Van Haanen, Angelo Dall’Oca Bianca e del ferrarese Cesare Laurenti, in giro per gli assolati e vivaci “canali” con le imbarcazioni tipiche in Antonio Paletti, Leo Franz Ruben ed Egidio Lancerotto o in serene passeggiate sul lago di Garda, in Napoleone Nani.

Di gusto differente, ma egualmente scene di genere, sono quelle incentrate sul revival settecentesco, che hanno il sapore delle commedie goldoniane, con dame e gentiluomini in costume e in posa, in amabili conversazioni nei salotti borghesi e in piazza San Marco o impegnati in passatempi come Il cacciatore di farfalle di Silvio Giulio Rotta, o con le vezzose dame di Giacomo Favretto, le scene galanti di Alessandro Milesi, e di Oreste da Molin (Cara ti xe tanto bela), oppure a passeggio nel verde dei parchi, così ben eternati da una pittrice di fama europea dalla vocazione paesaggistica quale Emma Ciardi. Della grande artista è presente Villa Priuli. Straordinario edificio che si trova lungo il fiume Brenta, dalla particolare architettura rinascimentale, simile a un padiglione da giardino, che ricorda la Loggetta del Sansovino ai piedi del campanile di San Marco e la loggia Corsaro a Padova.

Emma Ciardi sceglie di tramandare ai posteri l’immagine poetica della villa con il parco, in una giornata di sole, accostando vero e fantastico. Le figurette cristalline e neosettecentesche che compaiono a gruppi nel prato, senza una storia da raccontare ma solo per il piacere di stare insieme in un disegno unico e cromatico, appaiono impalpabili ed evanescenti come improvvise apparizioni, rese con una pittura smaltata e materia che le fa sembrare quasi gemme incastonate nel verde.

La campagna e l’entroterra montano sono indagati nelle scene bucoliche di pittori quali Noè Bordignon, Pietro Paletta e Luigi Cima.

Grande protagonista della mostra è poi il paesaggio dal vedutismo al “Vero” come trapasso dal paesaggio tradizionale concepito ancora secondo una visione prospettica canalettiana a quello en plein air rivisto in un’ottica elegiaco-sentimentale, non esente da influssi nordici e declinazioni macchiaiole e impressionistiche.

La Venezia dell’epoca rivive così nella monumentalità altisonante del Canal Grande e di Piazza San Marco con Palazzo Ducale e Riva degli Schiavoni attraverso le vedute cristalline di Carlo Grubacs, Federico Moja, Antonietta Brandeis e Rubens Santoro, o in quelle che uniscono alla ricerca di aspetti luministici una sensibilità d’ispirazione romantica, di Luigi Quarena, Friedrich Nehrlich (Nerly) e Ippolito Caffi.

Antonietta Brandeis, altra pittrice presente in mostra di grandi qualità. Originaria di un paese della Galizia. Giunta a Venezia, fissa la sua residenza a San Barnaba e nel 1867 si iscrive all’Accademia di belle arti, che frequenterà brillantemente, riportando numerosi premi. È costretta inizialmente in alcune esposizioni a fingersi uomo, con la convinzione di ottenere una maggiore considerazione in un’epoca dove ancora vi sono discriminazioni per il fatto di essere una «donna pittrice», che fra l’altro viaggia e riporta le sue impressioni in disegni e dipinti. Le sue opere otterranno successo sia in Inghilterra sia in Germania e saranno riprodotte in cromolitografia, per la loro piacevolezza. L’opera in mostra rappresenta l’isola di San Giorgio Maggiore. La veduta è qui incentrata soprattutto sulla chiesa palladiana di San Giorgio con il monastero, descritta con dovizia di particolari architettonici, e sul bacino antistante con le barche, fra le quali i consueti bragozzi dalle vele color arancio e le gondole che non mancano mai.

La laguna e l’entroterra veneto, con i canali baluginanti solcati dai bragozzi dei pescatori al lavoro, i casoni da caccia e da pesca, vengono successivamente esplorati dai pittori in diverse stagioni e in condizioni differenti di luce, secondo le ore della giornata: fondamentale in tal senso l’apporto del grande maestro Guglielmo Ciardi e Luigi Nono. Il realismo si accompagna ad un gusto più intimistico, dando luogo ad un tipo di paesaggio lirico in cui la presenza umana si attenua e la natura, interiorizzata, assurge a rappresentazione di uno stato d’animo universale, come in Pietro Fragiacomo. Visioni atemporali, silenziose e rarefatte, di luce riflessa e crepuscolare, come in Giuseppe Miti Zanetti, si accompagnano a “impressioni” pittoriche dalle luci brillanti e a colorazioni più ardite, quale quelle di Beppe Ciardi, fino a giungere a Pieretto Bianco, in cui la pittura del “vero” connessa al figurativo si inserisce ormai nel filone del sintetismo decorativo ed espressionista, aprendo la strada a nuove armonie e dissonanze che nasceranno con la nuova pittura contemporanea. Prendiamo La casa rossa di Pietro Bianco (Pietro Bortoluzzi).

L’artista dipinge la coloratissima Burano e i suoi isolani con scioltezza di tocco affine ormai al sintetismo decorativo espressionista, usando una tavolozza accesa, che predilige tonalità vivaci come ad esempio complementari blu e arancio. L’acqua della laguna è ricca di riflessi determinati da ombre colorate. Il lirismo assoluto della pittura del vero a questa data è ormai per lui un ricordo e il suo interesse è rivolto tutto ai nuovi fermenti della «scuola di Burano», con Gino Rossi e Umberto Maggioli. La sua pennellata è moderna, stesa a larghe campiture piatte. Anche fuori di tempo, la capacità del sentire romantico, il gusto decorativo di Pietro Bianco sono di una felice accessibilità, nascono da una convinta adesione al mondo che l’artista trasforma, verso altri sentieri che portano all’arte moderna, all’arte espressionista, in un linguaggio genuinamente autentico.

 

Maria Paola Forlani


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