Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. L’ultima Creatura 
L’idea divina del femminile
Francesco Hayez,
Francesco Hayez, 'Rebecca al pozzo' 
19 Luglio 2015
 

Si è aperta, fino al 4 ottobre 2015, ad Illegio (Udine) una mostra del comitato di San Floriano dal titolo “L’ultima creatura. L’idea divina del femminile”, a cura di don Alessio Geretti.

L’esposizione, con finalità interdisciplinari, è fondata su un’indagine teologica condotta sui testi delle sacre scritture, e su una ricerca iconografica, che vuole rendere testimonianza alla presenza notevole del tema del femminile biblico nella storia dell’arte cristiana e alla sua recezione nel corso della storia culturale occidentale, ma anche su una riflessione filosofica sulla bellezza e sulla bellezza artistica in particolare, che spesso nelle opere d’arte è stata “trattata” attraverso simboli delle figure femminili.

L’interesse per il mondo femminile nella Bibbia vive per le concretissime donne che tessono la trama feriale della storia e non mancano di incidere anche nella vita pubblica per audacia, carisma, saggezza e profezia. Classica e nota è la storia di Rut e di Noemi, sorprendente alleanza di due donne diverse (altra razza, cultura e religione), amicizia che si rafforza nel lutto, complicità femminile che costituisce la casa di Davide e del Messia.

La mostra illustra sotto cinque profili diversi, attraverso esempi eminenti, il rapporto dell’arte occidentale con il femminile biblico, sia in quanto locus teologicus sia, in quanto occasione per rappresentare l’esperienza artistica e l’ambivalenza della bellezza sensibile.

Il primo momento della mostra è dedicato all’apparizione femminile e del suo senso originario nel progetto divino: da Eva a Maria.

Il Signore inventa allora la terapia del sonno per fare all’uomo la più bella sorpresa. La trae dal suo costato, forma la donna «con la costola dell’uomo» (2,22), e quando gliela presenta lui non può trattenersi dall’esclamare: «Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne». «La si chiamerà donna (ishshsh) perché dall’uomo (ish) è stata tratta» (2,22).

I Padri della Chiesa vedono in Maria la nuova Eva, senza rapporto alcuno col peccato, donna pienamente solidale e madre dei viventi in forma nuova. Essi vedono inoltre nella donna primordiale tratta dall’uomo dormiente, un’icona della Chiesa che nasce dal costato di Cristo nuovo Adamo.

Il secondo “sguardo” della mostra concentra l’attenzione sulle madri per cui passano la benedizione e la vita: le donne dei patriarchi. Splendidi i confronti iconografici tra alcune opere raffiguranti Hagar, Rachele e Rebecca, Tamar la Cananea, e due riferimenti alla sorella di Mosè, Miriam.

Il terzo “sguardo” della mostra è quel femminile che sorprende per forza e audacia spirituale, nel momento di prove tremende.

La storia biblica rivela la presenza di Dio in modi del tutto imprevedibili, attraverso uomini e donne che in forme diverse richiamano un motivo di fondo, il capovolgimento delle sorti. Come se Dio amasse giocare a confondere i piani dei potenti attraverso i piccoli, mediante l’intervento di persone umili e semplici che si fidano pienamente di lui. Così Ester l’orfana giudea della diaspora, che diventa regina di Persia e capovolge le sorti. Innegabilmente il cuore di questa sezione è costituito dal confronto tra le diverse versioni di Giuditta dipinte da molti artisti – tra i quali Allori, Rubens, Piazzetta – e il capolavoro straordinario di Caravaggio. La vicenda di Giuditta, come pure quella di Giaele, diventa l’occasione per un esercizio pittorico di realismo, per una rappresentazione del contrasto tra grazie e forza, tra dolcezza ed efferatezza: un rinvio, dopotutto, al tema della bellezza spirituale che sconfigge l’assedio del nemico dell’umana natura, da una parte, e della bellezza sensibile che conquista e al tempo stesso inebria e ferisce l’anima umana.

La Giuditta e Oleferne proveniente dalla Galleria Nazionale di Arte Antica, Palazzo Barberini di Roma è l’inizio della lunga serie di temi violenti trattati dal Caravaggio e nei quali il pittore approfondirà i pensieri dominanti, il significato tragico della vita e il conflitto tra persecutori e vittime. All’assunto centrale si intreccia un altro motivo, il ‘contrapposto’ tra la bellissima, vittoriosa Giuditta e l’orribile assistente che allude al contrasto tra la giovinezza e la vecchiaia, che trova un antefatto in Giulio Romano.

Il dipinto compenetra le precedenti ricerche nell’ambito della trasposizione dei moti dell’anima, di radice lombarda e leonardesca, evidenti nello sguardo concentrato di Giuditta con la tensione fisica del gesto della decapitazione, forse ancor più che nella bocca fissata nell’urlo di Oloferne.

La bellezza come grazia e purezza inviolabile è il quarto filo conduttore della mostra, che vede specialmente nella figura di Susanna insidiata dalle brame dei vecchioni il “caso” più interessante. Susanna, vittima innocente, viene coinvolta in una vicenda scandalosa che getta fango sulla sua immagine di donna integerrima e mette a dura prova la sua fiducia in Dio. Ma dalla prova Susanna emerge incandescente: non scende a patti con uomini corrotti e violenti, non cede al ricatto ma grida tutta la sua angoscia al giudice divino, unico interlocutore. Lui che scruta il cuore e non abbandona l’innocente.

Infine, la bellezza come seduzione, talora letale, è l’ultimo filo conduttore della mostra: il passaggio è quello del sensibile al sensuale. In questo caso, non è in atto l’assedio delle facoltà umane nei confronti della bellezza, che è impossibile possedere pienamente, ma l’insidia si rovescia, per così dire, poiché è la bellezza a cingere d’assedio le facoltà dell’anima umana, fino a sequestrare. Rahab, Dalila e Bethsabea sono esempi di figure che rappresentano, insieme alle iconografie degli episodi biblici correlativi, l’ambiguità della bellezza sensibile, del corteggiamento che essa perpetra nei confronti dei sensi umani e della misteriosa potenza pressoché irresistibile con cui essa tradisce la violenza dell’uomo che cede alle sue malie.

Per molti artisti che hanno voluto rileggere alcune figure femminili bibliche attraverso la loro storia, diventa tutto ciò un piacevole gioco di posture e di bellezza, come nel caso della Rebecca di Hayez (Milano Accademia di Brera). L’opera si inserisce coerentemente nella galleria di giovani donne «a mezza figura» realizzate dall’Hayez tra gli anni Quaranta e Cinquanta, nelle quali il tema biblico è puro pretesto per alte esercitazioni formali ove è sì sempre fondamentale la partenza dal modello, dal vero, ma per muovere verso una idealizzazione sempre più filtrata, giocata sullo stretto congegnamento di equilibri rapporti lineari e plastici e su accordi cromatici.

 

Cristo è stato poeta…

Guardava le donne come si guarda a dei fiumi…

E le sentiva amiche essendo donna nel cuore.

(Alda Merini, Corpo d’amore)

 

Maria Paola Forlani


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