Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Lapislazzuli. Magia del Blu 
A Firenze, fino all'11 ottobre
13 Giugno 2015
 

un Blu unico, diverso da tutti gli altri, che l’occhio non può dimenticare

un Blu profondo, l’oltremare, colore dei cieli delle montagne in cui nasce

il Blu delle notti d’estate, costellato da miriadi di pagliette dorate ad imitare le stelle del firmamento.

 

 

Le ‘stanze del Tesoro’ del Museo degli Argenti custodiscono una straordinaria raccolta di vasi intagliati in lapislazzuli, dalle mirabolanti forme ispirate dagli artisti del Manierismo fiorentino. È una collezione unica al mondo, iniziata da Cosimo I de’ Medici alla metà del Cinquecento e accresciuta soprattutto per volontà di Francesco I nei laboratori del Casino di San Marco e proseguita, alla sua morte, dal fratello Ferdinando, cardinale della chiesa romana, che gli succedette nella carica di granduca di Toscana.

La rara e preziosa pietra blu, che sembrava racchiudere in sé vene d’oro e che evocava sia il mare spumeggiante che la volta stellata di un cielo notturno, veniva dall’Oriente. Era estratta dalle cave di Sar-e-Sang, tra le montagne del Badakhshan (odierno Afghanistan), l’unico giacimento noto nell’antichità, visitato da Marco Polo nel XIII secolo ed era assurta a simbolo di ricchezza, insieme all’oro, all’argento e agli altri metalli preziosi, già nella letteratura numerica, dove – si parla del poema Emmerkar e il signore di Aratta – si intreccia con le prime proposte di scambi commerciali tra le granaglie di Uruk e le pietre dure di Aratta nell’altipiano iranico.

L’idea di dedicare una mostra a questa pietra, carica di magici significati, è stata suggerita da Gian Carlo Parodi, mineralogista del Museum National d’Histoir Naturale di Parigi. Si tratta quindi di una mostra mirata non solo all’approfondimento degli squisiti manufatti artistici ma rivolta anche – e non in misura minore – all’aspetto più prettamente mineralogico, argomenti che si integrano, consentendo approcci singolari e non usuali per la storia dell’arte. Il Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, diretto da Giovanni Pratesi, ha avuto un ruolo di primo piano nell’elaborazione del progetto e una sezione della mostra, dedicata alla pietra ed aspetti di ricerca scientifica, è stata allestita al Museo della Specola.

La mostra nel Museo degli Argenti, curata da Maria Sframeli, Valentina Ponticelli, Riccardo Pennaioli, Giancarlo Parodi (Catalogo Sillabe) aperta fino all’11 ottobre 2015, si articola in quattro sezioni.

La prima sezione Dalla Natura all’Artificio presenta una selezione di campioni di lapislazzuli di varia formazione e provenienza a diretto confronto con i massimi raggiungimenti nell’utilizzo del lapislazzuli in vasi e coppe, fiasche e mesciroba, originariamente destinati alle corti principesche del Rinascimento, provenienti dai più prestigiosi musei d’Europa. Vanto delle botteghe di intagliatori milanesi, l’arte di intagliare questa pietra fu introdotta a Firenze nel 1572 da Francesco I, che fece venire da Milano i fratelli Gian Ambrogio e Gian Stefano Caroni; sede dei laboratori e nucleo delle botteghe di corte fu il Casino San Marco, «ove in guisa di piccolo arsenale in diverse stanze ha diversi maestri che lavorano diverse cose e quindi tiene i suoi lambicchi, e ogni suo artifizio», come scrive l’ambasciatore veneziano Andrea Gussoni nel 1576.

La seconda sezione Commesso in pietre dure e pietre dipinte racconta l’evoluzione dell’utilizzo del lapislazzuli nel primo Seicento in due ambiti, quello del commesso e quello della pittura su lapislazzuli, animati dallo stesso desiderio di rendere eterna e fissare la natura nei colori immutabili della pietra. Dai primi intarsi geometrici, come è il caso della ribalta di Francesco I del Museo degli Argenti e della scacchiera veneziana del Victoria and Albert di Londra, si passa a più complesse composizioni figurative il cui vertice è costituito dal piano di tavolo con la Veduta del porto di Livorno su disegno di Jacopo Ligozzi. Come già riferiva alla fine del Cinquecento il monaco domenicano Agostino del Riccio nella sua Istoria delle Pietre, i piani di tavolo lavorati a commesso erano il vanto della Galleria dei Lavori, la manifattura organizzata nel 1588 da Ferdinando I, ricercati e ambiti dai regnanti d’Europa.

È proprio per rendere ‘eterno’ quel magico colore che iniziò nel Cinquecento anche l’uso di dipingere la pietra: il lapislazzuli con le sue sfumature di bianco, date dalla calcite, poteva evocare cieli solcati di nuvole, come nelle sue tonalità più scure venate dall’oro della pirite, dove la lazurite è più compatta, si presta a evocare notturni e cieli stellati. E anche in questo campo il Museo degli Argenti offre l’esempio di uno dei massimi capolavori dell’ebanisteria, il cosiddetto ‘stipo di Alemagna’, fantasmagorico mobile prodigio di effetti a sorpresa che anticipano il gusto barocco della ‘meraviglia’.

La terza sezione La pietra blu nel fasto principesco mostra come, nel momento in cui il lapislazzuli diventa sempre più raro, la pietra viene destinata quasi esclusivamente a oggetti profani e suppellettili sacre di grandissimo pregio artistico e di elevatissima committenza. È il caso della famiglia Borghese che, a distanza di quasi un secolo, commissiona due raffinatissimi oggetti in lapislazzuli è protagonista: il rilievo con Baccanale di putti tuttora alla Galleria Borghese, opera di Giovanni Campi, e alla metà del Settecento il servizio di Cartaglorie di Luigi Valadier destinato alla cappella familiare nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore, dove il blu puro dei lapislazzuli è abbinato al bronzo dorato e all’argento.

La quarta sezione Dall’Oltremare al Blu Kline è dedicata al pigmento. Quando si tratta dell’utilizzo del lapislazzuli in campo artistico il pensiero corre infatti all’azzurro ‘oltremarino’, decantato come “colore nobile, bello, perfettissimo oltre tutti i colori” nel trattato di Cennino Cennini – uno degli ultimi esponenti della grande scuola giottesca fiorentina – che descrive nei dettagli il modo di ricavare il pigmento prezioso dalla macinazione della pietra. Il blu profondo del lapislazzuli, ricercato non solo per il suo altissimo costo ma per i significati sottesi al colore ‘azzurro’ – è il colore del manto delle Madonne e dei cieli stellati degli affreschi del Trecento e Quattrocento –, ‘segna’ opere capitali vaticane come gli affreschi della Cappella Sistina di Michelangelo, e ricorre nella pittura del Sassoferrato o Artemisia Gentileschi. La mostra chiude presentando le sperimentazioni, tentate fin dal secolo dei Lumi e protratte per tutto l’Ottocento, per ricercare materiali che potessero sostituire la preziosa roccia, di cui si reperivano nuovi giacimenti, e creare un pigmento che potesse uguagliare l’intensità dell’oltremare.

La mostra chiude con un’opera di Yves Kline, che al blu ha dedicato le ricerche artistiche dell’intera sua pur breve vita, e con una piccola sezione di gioielli del Novecento e contemporanei dove i lapislazzuli puro e materiali sintetici offrono occasione di nuove rivisitazioni

 

Maria Paola Forlani


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