Arte e dintorni
Potere e Pathos. Bronzi del mondo ellenistico 
A Palazzo Strozzi di Firenze fino al 21 giugno
03 Aprile 2015
 

La rappresentazione artistica della figura umana è centrale in gran parte delle culture antiche, ma è la Grecia il luogo in cui ha avuto maggiore importanza e influenza sulla storia dell’arte successiva. Che si trattasse di raffigurare dei immortali, eroi mitici, guerrieri caduti, atleti vittoriosi o altri personaggi celebri, l’interesse dei Greci verso la resa della forma, del carattere e della storia dell’individuo – il più delle volte maschile – mediante la rappresentazione scultorea del suo corpo sfociò in una delle conquiste artistiche più eccezionali e illustri della storia.

Un tripudio di figure classiche, ben cinquanta statue di bronzo d’età ellenistica, sono ora visibili, come uno degli spettacoli più emozionanti che mai visitatore abbia avuto la gioia di ammirare prima d’ora. Sono bronzi d’età ellenistica – prodotti tra il IV e il II secolo avanti Cristo – e sono quanto di più bello e affascinante la mano dell’uomo sia riuscita a modellare in termini di realismo e di potere espressivo.

Queste emozioni ce le offre, fino al 21 giugno 2015, una mostra sorprendente allestita a Palazzo Strozzi di Firenze, dal titolo “Potere e Pathos. Bronzi del mondo ellenistico”, curata da Jens M. Daehner e Kenneth Lapatin (Catalogo Giunti) e realizzata in collaborazione con il J.Paul Getty Museum di Los Angeles, la National Gallery di Washington e la Soprintendenza Archeologica della Toscana. Una mostra di concezione e di respiro assolutamente internazionale, che avrà come prossime tappe il J.Paul Getty Museum di Los Angeles (28 luglio - 1° novembre) e la National Gallery di Washington (6 dicembre 2015 – 20 marzo 2016).

Forte di prestiti strepitosi da ogni parte del mondo, la rassegna di Firenze lascia affascinati i visitatori. A cominciare dal primo pezzo che si incontra entrando nella sezione introduttiva, che non è una statua in bronzo bensì una base in marmo proveniente da Corinto su cui era issata una statua bronzea. Sul lato anteriore si conserva parte di un’iscrizione in greco: «Lisippo fece». È attestato che Lisippo abbia realizzato in totale circa millecinquecento opere (Plinio N.H. 34. 37) in Grecia, in Asia Minore e nei territori dell’Oriente ellenistico. Qui, su questo antico supporto, dunque, si innalzava una delle opere che Lisippo modellò – stando alle fonti antiche – e delle quali neppure una è sopravvissuta in originale. Dietro la base di Lisippo si staglia il primo grande bronzo della mostra, un pezzo celeberrimo, l’Arringatore del Museo Archeologico di Firenze, opera del II secolo a.C. La statua, con ogni probabilità proveniente da un santuario, venne casualmente alla luce, durante lavori agricoli, in località Sanguineto presso il lago Trasimeno e, come racconta il Vasari, fu consegnata a Cosimo de’ Medici nel settembre 1566. La statua, di dimensioni appena maggiori del vero, rappresenta un personaggio maschile di età matura, come denotano le rughe della fronte e ai lati degli occhi e della bocca: i capelli sono corti, disposti in ciocche regolari, i grandi occhi, originariamente riportati in altro materiale, sono vuoti. È vestito di una toga e indossa alti calzari di tipo romano.

All’anulare della mano sinistra porta un anello con castone ovale, mentre la destra è sollevata e protesa in avanti, con il palmo aperto, in un gesto interpretato comunemente come quello del silentium manu facere, prima dell’inizio dell’orazione pubblica da cui il nome di Arringatore. Analizzando la statua si apprendono molte cose. La prima è che queste sculture erano sempre a figura intera ma che venivano fuse in parti separate (teste, braccia, gambe, vestiti, eccetera) e poi assemblate. Inoltre, che non erano verdi (un colore frutto di successive alterazioni che ci appare oggi) ma “brunite” come il bronzo, ed erano abbellite con occhi di alabastro e pasta vitrea, denti d’argento o d’avorio, labbra di rame. Il grande amore per il realismo che la scultura ellenistica ha saputo esprimere rispetto alla bellezza astratta e idealizzata del periodo classico è maggiormente evidente nella seconda sezione (I ritratti del potere). Il percorso propone una suggestiva panoramica sui ritratti con le effigi dei personaggi influenti dell’epoca, considerato un nuovo genere artistico che nasce con Alessandro Magno. Ne sono esempi straordinari la figura di Alessandro Magno a cavallo, proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il macedone, col diadema reale tra i capelli, monta a cavallo, forse Bucefalo. Colossali gruppi equestri dovevano immortalare la grandezza militare e l’eroismo del re in tutto il suo vasto impero, attraverso statue profondamente dinamiche e caratterizzate dal più vivace realismo. La Testa di Cavallo detta “Medici Riccardi”, coeva ad Alessandro Magno, faceva sicuramente parte di una statua equestre a grandezza naturale. La scultura, che riveste caratteri di assoluta eccezionalità, rappresenta uno dei pezzi più significativi nel panorama dei bronzi delle collezioni fiorentine. La fama di metalli dell’Alto Medioevo, periodo in cui le statue di bronzo venivano smembrate per essere rifuse, ha contribuito alla quasi scomparsa dei grandi bronzi. Anche la testa Medici Riccardi costituisce un’eloquente testimonianza di tutto ciò. Oltre a mettere in risalto le eccezionali qualità anatomiche dei bronzi ellenistici, la rassegna spiega bene anche a che cosa servissero tutte quelle statue di monarchi, eroi, divinità, atleti, cittadini e matrone. Servivano per decorare grandi edifici pubblici, servivano come ex voto nei santuari, servivano come immagini votive domestiche come l’Eros Dormiente (New York Metropolitan Museum of Art). Il dio dell’amore dorme all’aperto come se si fosse fermato a fare un pisolino tra un’impresa e l’altra. È sdraiato su un panno steso su una roccia. L’arco gli è appena caduto dalla mano destra, abbandonata sul petto, con il palmo aperto e le dita totalmente rilassate nel sonno. Le statue venivano replicate più volte, o riprodotte in materiali e formati differenti, e spesso con significative varianti di atteggiamento. La sezione Repliche e mimési sviluppa questo argomento con un accostamento davvero spettacolare di sculture in bronzo, marmo e basalto, tutte “variazioni” dello stesso tema: l’Atleta che si deterge di Efeso.

Ma se erano così apprezzati e numerosi, perché i bronzi ellenistici sono quasi del tutto scomparsi? La risposta è banale: il bronzo si poteva rifondere. Già in epoca romana si fusero statue antiche per fare altre statue. Plinio raccomanda agli scultori di usare sempre una parte di «bronzo antico» per le statue nuove. Oppure, assai più banalmente, venivano fuse per ricavarne armi o utensili domestici. Ma allora come si salvarono le statue superstiti? Viaggi per mare finiti in disastrosi naufragi (pensiamo ai “Bronzi di Riace”) o catastrofiche eruzioni come quelle del Vesuvio hanno paradossalmente salvato le statue bronzee ellenistiche dall’inesorabile destino della fusione, facendole giungere fino a noi nel loro “realistico splendore”.

 

Non c’è, per gli dei, né pittore

Né scultore, che possa foggiare

Una bellezza pari a quella della verità

Filemone Comico (PCG VII, fr. 75 K.-A.)

 

Maria Paola Forlani


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