Lo scaffale di Tellus
Marisa Cecchetti. Storie di Amsterdam. Nescio per Iperborea
04 Aprile 2015
 

Nescio

Storie di Amsterdam

Iperborea, 2015, pp. 222, € 16

 

Nescio (latino: non so) è lo pseudonimo dell’olandese Jan Henrick Frederick Gronlock (1882-1961), che ha pubblicato il suo primo racconto, Lo scroccone, nel 1911, Giovani titani e Il piccolo poeta nel 1918, Mene Tekel nel 1935. Apparteneva alla borghesia, realizzato nella vita professionale, sposato e padre di quattro figlie, non scevro da slanci religiosi, entusiasmi politici, aspirazioni ed ideali. Passato quasi inosservato come scrittore, solo negli anni trenta del secolo scorso ne è cominciata la rivalutazione, ma solo negli anni sessanta-settanta la sua opera ha trovato il giusto apprezzamento e successo. Tutti i suoi racconti sono raccolti in Storie di Amsterdam.

Con queste premesse ciò che stupisce nella sua produzione è la presenza di personaggi che vivono una vita che è esattamente l’opposto della sua, e sorprende la capacità di calarsi totalmente nei loro panni, fatto che lascia il lettore convinto che stia dalla loro parte.

Siamo agli inizi del ‘900, ad Amsterdam, e loro si chiamano Bavink, Japi, Koekebakker, Hoyer, Bekker, sono amici ma tra loro Japi è l’infiltrato, lo scroccone che passa il suo tempo apparentemente a imparare a morire, fissando l’acqua in silenzio quasi a cercarvi la quiete e la risposta ai suoi perché, in realtà mangia volentieri a sbafo, dorme nel letto altrui, veste gli abiti degli altri senza nemmeno chiedere il permesso.

Bavink è un pittore ossessionato dalla bellezza delle cose, che non riesce a trasfondere sulla tela come vorrebbe. Koekebakker è un giornalista che riesce ad affermarsi, nonostante tutto, Bekker lavora e intanto traduce Dante, Hoyer ha il mito della residenza isolata in campagna.

Se serve qualche lavoro per campare, non è quello comunque l’obiettivo principale dei nostri amici. In effetti passano lunghi momenti di privazioni, vivendo da bohemien, ma senza porsi problemi. Perché loro vanno controcorrente, disprezzano il denaro che non serve alla semplice sopravvivenza, vivono alla giornata, sanno di non essere niente ma neppure desidererebbero essere qualcuno, dicono di star bene come sono. Come giovani titani vorrebbero riformare il sistema, disprezzano i padri, fanno a pezzi qualunque cosa, sentendo che sono “gli eletti di Dio, anzi eravamo Dio stesso”. In effetti non ottengono niente fuori dal sistema e qualcuno impazzisce nello sforzo di seguire le proprie ossessioni.

Nella disillusione c’è una consapevolezza chiara della fugacità di tutto e della assurdità del vivere stesso, una malinconia diffusa vela le loro scelte e le loro asserzioni. I dialoghi sono essenziali, il ritmo lento come la loro vita, talora sono più vicini al soliloquio che al dialogo: – Bel tempo, eh, capo? – disse Bavink. – Non c’è male – rispose Japi. – Siamo in perfetto orario – osservò Bavink tanto per dire qualcosa. – Ah sì? Non ho il senso del tempo – rispose Japi. E poi, ad un tratto: – Guardi, un arcobaleno nell’acqua.

Il paesaggio olandese, le sue distese verdi, i fiori, le mucche al pascolo, le dighe, lo Zuiderzee, i tramonti struggenti, fanno da sfondo a questo girovagare e creano aperture di vero lirismo: E la marea si alzava e la marea si abbassava, l’acqua avanzava e si ritirava… E l’acqua sciabordava, saliva e scendeva, e il sole attraversava invisibile il nord della notte, portando con sé nel nord l’ultimo chiarore del giorno, che sarebbe diventato il primo chiarore del nuovo mattino. Così un giorno toccava l’altro, come sempre a giugno.

 

Marisa Cecchetti


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