“Guardare e non vedere […] solitamente indica una mancanza di comprensione, un'incapacità di cogliere il senso di qualcosa nel mondo intorno a noi”
Siri Hustvedt, Appunti sul vedere
(in Vivere, pensare, guardare, Einaudi, 2014)
Come definire le fotografie di Margherita Lazzati? Arte, ma anche testimonianza di luoghi, modi, tempi e varia umanità... Squisita forma, ma anche esperienza del mondo colto nelle più disparate (e disperate, talora) sfaccettature... Discorso estetico, ma anche utilità sociale. Tutto questo sono i suoi scatti: mosaico di volti e situazioni nel crogiolo della metropoli; osservazione, quasi entomologica, della realtà che ci circonda, così sfuggente a distratti occhi e menti, ma anche empatica partecipazione. Strade brulicanti o deserte, palazzi che crescono a dismisura, sino a sfidare il cielo, e nell'ombra, nelle oscure pieghe di piazze e strade, gli ultimi e i reietti... La Milano scintillante contrapposta alla presenza-assenza dei clochards, i barboni, gli homeless... “Visibili. InVisibili, reportage” è la mostra della Lazzati allestita, con oltre cinquanta foto (Scatti usuali/inusuali strada facendo), all'Ambrosianeum (via delle Ore 3, Milano; sino all'1 aprile).
Ai giganti di vetro che s'arrampicano verso le nuvole, al fascinoso skyline, ai panorami mozzafiato dall'alto del Duomo o dalla cima della Torre Branca s'alternano le immagini di coloro che improvvisano giacigli di fortuna, di coloro che trascinano i propri giorni, non senza dignità, ma davvero, come recita il titolo dell'esposizione, “inVisibili” alla restante comunità, quella che trascorre loro accanto ilare (o tale credendosi) e tecnologica. Un elemento “disturbante” nell'orizzonte che si vorrebbe lieto, grato e proiettato a gloriosi destini di benessere e felicità materiale... Una distorsione, questa umanità sofferente e sola, un po' come quei riflessi deformati sulle finestre dei colossi di cemento e acciaio oltre le quali non vedi occupanti? Ma ci sarà qualcuno o qualcosa al di là di quelle cieche, quasi omeriche ma spersonalizzate, finestre? Oppure... chi ci guarda da dietro quegli involontari specchi o lenti? Altri infelici, a loro modo, nel Gran Festival dell'Esistenza Burocratizzata?
È una festa di colori la massa di coperte sotto cui si cela un dormiente in Corso Garibaldi, che non rinuncia ad appendere, sopra il suo capo, un manifesto che riprende un celebre tema del pittore Segantini, come a voler donarsi, nonostante tutto, un tocco di bellezza, una particola d'eterno. E che contrasto fra l'addormentato in un angolo del mezzanino della Stazione Centrale e l'immagine pubblicitaria di un noto marchio di moda... Chi ha nulla, chi ha troppo (compreso l'effimero e il superfluo). E Milano giace con la sua antica magnificenza alla vista di Margherita Lazzati, i suoi spettri, il suo scempio, così come i segreti splendori: il piccone che spacca indefesso l'indifesa Storia – quanto utile e perché?; la neve che tutto imbianca ed edulcora; una luce che spezza il grigio; pioggia come lacrime nel Requiem per Claudio Abbado; fontane come mari; cuori disegnati su porte; e, ancora, monconi di uomini; la potente grazia della Torre Velasca; le statue, così vive, del Duomo. Ma, di nuovo, quei nostri più sfortunati fratelli... Un ossimoro è l'universo urbano.
Senza banale pietismo, ma dettagliato e compassionevole, nel senso più antico e nobile del termine, è il reportage di Margherita Lazzati, trasposto peraltro anche in un bel libro (definirlo catalogo è improprio e limitativo) dall'omonimo titolo, edito da La Vita Felice. Un testo, con presentazione di Marco Garzonio e introduzione di Salvatore Natoli, che comprende non solo tutte le fotografie, ma anche una straordinaria miscellanea di poesie e prose (Variazioni a più mani) a comporre una visione d'insieme della nostra città: nella sua umiltà e nella sua superbia, infine nel desiderio di essere accolti e accogliere.
«Non è certo un percorso fotografico che può risolvere questi problemi, ma li mette sotto gli occhi – e la Lazzati lo fa in modo semplice e pulito; e ha questo di singolare: tramite il medium della bellezza ci obbliga a guardare ciò che abitualmente ci sfugge. Guardiamo una foto che è bella perché è bella: e diciamo “come è bella!”. Ma nel momento stesso in cui la bellezza ci attrae, ci svela anche l'orrore e ci spinge a riflettere su di esso. Cosa che non accadrebbe se non fosse bella. Che è poi quello che Aristotele diceva del tragico, e può valere anche per le immagini. In tutto ciò, c'è sicuramente il rischio del compiacimento, un'estetizzazione della sofferenza, una sorta d'evasiva consolazione innanzi al dolore. Questo non lo si può dire della fotografia della Lazzati che, invece, è asciutta e mai compiaciuta. È come si andasse per via: fissa momenti e li offre come un'interrogazione. Formula domande che, però, esigono risposta o, quanto meno, appellano all'impegno per la costruzione di una città più bella e, per quanto possibile, redenta dal dolore». (Salvatore Natoli)
Alberto Figliolia
“Visibili. inVisibili. reportage-Scatti usuali/inusuali strada facendo”, mostra fotografica di Margherita Lazzati. Fino all'1 aprile. Ambrosianeum, via delle Ore 3, Milano.
Info: tel. 02 86464053; www.ambrosianeum.org.
Visibili. inVisibili. Reportage, volume realizzato in collaborazione con Galleria L'Affiche di Milano (2015, La Vita Felice, pp. 175, euro 20)