Regia: Arthur Hiller. Soggetto e Sceneggiatura: Erich Segal. Fotografia: Richard C. Katrina. Montaggio: Robert C. Jones. Musiche: Francis Lai. Produzione: Love Story Company, Paramount Pictures. Interpreti: Ali McGraw, Ryan O'Neal, John Marley, Ray Milland, Russel Nype, Tommy Lee Jones.
Love Story è il padre indiscusso di un certo tipo di cinema strappacuore, di cui dobbiamo parlare perché tutti i film italiani con la protagonista che muore per colpa di un male incurabile derivano dal soggetto di Segal. Basti pensare a Dedicato a una stella (1976) di Luigi Cozzi, ma anche a Il maestro di violino interpretato da Domenico Modugno, per non parlare dei lacrima movie classici con bambini che muoiono di leucemia come L'ultima neve di primavera, che riprende ambientazioni innevate e l'idea di una colonna sonora struggente.
Il romanzo di successo deriva dal film, non viceversa, come molti potrebbero pensare, e dà il via alla moda delle novelisation che in parte coinvolge la nostra narrativa (molti film di Dario Argento sono diventati romanzi), senza produrre capolavori né fenomeni editoriali. Erich Segal aveva proposto il soggetto ispirato alla vera storia di due studenti del suo corso di letteratura a diverse grandi produzioni ricevendo solo rifiuti, perché "fuori moda" in un periodo storico pervaso da lotte femministe, contestazioni e grandi ideali. Avevano torto, perché quando Segal ricavò un romanzo di successo dalla sceneggiatura, si fece subito avanti la Paramount e propose di produrre il film. Non solo, anche il regista Arthur Hiller – subodorando l'affare – volle far parte della torta e si inserì nella seconda società finanziatrice, la Love Story Company. La storia è universalmente nota, narrata come un lungo flashback del protagonista, triste e solitario, davanti a un campo di pattinaggio deserto intento a rievocare il passato. Il meccanismo del ricordo struggente è stato imitato da Raimondo Del Balzo per L'ultima neve di primavera, ma anche da Armando Nannuzzi per L'albero dalle foglie rosa. Segal e Hiller raccontano la grande storia d'amore tra Oliver e Jennifer, che si conoscono all'Università e finiscono per sposarsi, nonostante la differenza di classe sociale che li separa e la netta opposizione della famiglia del ragazzo. Una storia d'amore che si dipana tra le nevi di Boston e New York, coltivando piccoli e grandi sogni, tra litigi che subito si ricompongono e frasi a effetto come la ormai famosa "Amare significa non dover mai dire mi dispiace". Jennifer è orfana di madre, ama Bach, Mozart e i Beatles; Oliver studia diritto e ama la sua bella di un amore infinito, taglia i ponti con la famiglia di origine e stringe un bel rapporto con il suocero. Regista e sceneggiatore prima ci mostrano tutta la felicità della coppia e ci fanno persino partecipi di una progettata maternità, quindi – con micidiale mossa strappacuore – ci danno la notizia che Jennifer morirà per una forma di leucemia incurabile. Il film cambia tono in maniera radicale, persino la musica – pervasiva e immanente – diventa più triste e cadenzata, la macchina da presa del regista si abbandona a lunghe soggettive e numerosi ralenti. L'ultima parte della pellicola è puro lacrima movie, con Oliver che prima cerca di nascondere la verità a Jennifer ma alla fine è costretto a cedere perché la ragazza ha capito che deve morire. La parte in ospedale con i due ragazzi abbracciati nel letto di morte di Jennifer è stata imitata molte volte dal nostro cinema melodrammatico degli anni Settanta – Ottanta.
Love Story si ricorda per una fotografia nitida e per le immagini zuccherose, per il racconto sentimentale di una grande storia d'amore e per una colonna sonora struggente, indimenticabile, composta da Francis Lai, che fa guadagnare il solo Oscar alla pellicola (su ben sette nomination). Un buon film intenso e passionale, distrutto dalla critica miope e ideologica che per gridare al capolavoro doveva vedere mondine e partigiani (la frase è di Fulci ma la faccio mia). Due milioni di dollari di budget per un successo mondiale di portata epocale, prodotto dalla Paramount solo perché costava poco e con la promessa di ingaggiare nel cast Ali McGraw, fidanzata con un alto dirigente della casa produttrice. Un film che segna un'epoca, facendo nascere un genere, soprattutto in Italia, dove dopo Incompreso (1966) e L'albero di Natale (1969), i fazzoletti erano pronti a irrompere sulla scena e a diventare strumento prediletto per un pubblico a caccia di sentimenti forti.
Gordiano Lupi