Anche senza scomodare l'acume di Umberto Eco, prima o poi qualcuno scriverà un saggio sulla fenomenologia di Rocco Siffredi. Perché il clamore che da anni questo personaggio riscuote presso il pubblico, trasversalmente per genere, età, livello di istruzione e status economico, è sorprendente. Per carità, l'uomo ha modi educati, non è bello ma nemmeno brutto, non è aitante ma perlomeno atletico, parla sì un italiano corretto (il che non è poca roba di questi tempi), ma per esprimere concetti comunque banali. Insomma una persona normale, tranne che per un noto particolare, la lunghezza del pene abbondantemente sopra la media.
Ora, è comprensibile che tale dote susciti risatine, finanche una certa ammirazione, ma la cosa dovrebbe esaurirsi nel cicaleccio goliardico proprio di determinate situazioni e individui. Insomma, una platea di seguaci piuttosto limitata, come accade in altre parti del mondo con le star del porno. Ma non in Italia. Da noi l'eccesso di centimetri proprio lì, si è tradotto in un carisma, tanto che più volte si è pensato a una candidatura politica (dopo tutto si troverebbe in compagnia di altre enormi teste di c). Certo c'è il precedente di John Holmes, la cui fama raggiunse livelli elevatissimi, ma quelli erano gli albori del hard core, nel pieno della contestazione di costumi sessuofobi. Ciò che accade con Rocco Siffredi – nome d'arte di Rocco Antonio Tano, il che fa già un altro effetto –, capace di incollare al teleschermo milioni di telespettatori con la sua sola presenza, è qualcosa che forse tocca alcune corde profonde del nostro paese. Che si tratti di una fallocrazia simbolo della nostra indole fascista, tema già affrontato da intellettuali di indubbio valore? Forse, ma è possibile, proprio per la suddetta trasversalità tra gli ammiratori, che ci sia dell'altro, un qualcosa che si ricollega alla simpatia che una cospicua parte degli italiani provò per il celodurismo del primo Umberto Bossi.
Siamo un popolo perennemente in preda ai fantasmi della sindrome da spogliatoio, crediamo cioè che per affermarsi, per generare piacere nell'altro, per ottenerne la stima, bastino solo delle doti di natura, niente altro. Un patrimonio ereditario, come una rendita o un cognome, oppure un imprevisto regalo del fato. Eppure, se la liberazione sessuale ci ha insegnato qualcosa, è che la ricerca e la fantasia sono le vere determinanti del piacere, perché non esiste una strada sola per raggiungerlo. Certo l'avere un'enorme “dote naturale” aiuta eccome, ma non basta e questo, più che dispiacere, dovrebbe essere da sprone verso una reale forma di meritocrazia. Siamo dunque giunti al nodo della questione, il valore dato al merito e quello dato alla predestinazione e, purtroppo, il popolo italiano si conferma essere fatto di individui che per lo più si sentono predestinati alla mediocrità, in quanto privi di quel quid che natura riserva solo agli eletti, agli unti dal signore. Di fronte a questa presa d'atto generalmente si risponde chiudendosi nel pressapochismo, nell'arte di arrangiarsi, perché in fondo non serve a nulla impegnarsi, cercare di migliorare, trovare la propria strada. Sudditi, in pratica, pronti ad acclamare l'ennesimo capo che brandisca in pubblico il suo gigantesco uccello.
Marco Lombardi