Diario di bordo
Roberto Fantini. Quale sorte per i diritti umani? 
Tra presunti “scontri di civiltà” e allarmanti scontri di ignoranze... Conversazione con Riccardo Noury
28 Gennaio 2015
 

Per continuare a riflettere sui tragici eventi parigini, sulle loro cause (vicine e lontane, palesi ed occulte), sui loro possibili sviluppi e su quanto andrebbe fatto per arginare il baratro di violenza che sembra inesorabilmente attenderci nel nostro futuro, ci siamo rivolti, questa volta, a Riccardo Noury, portavoce nazionale di Amnesty International Italia.  

 

– I terribili fatti parigini ci hanno di nuovo precipitati in un clima molto simile a quello venutosi a creare dopo l’11 settembre 2001. E molti (anche noti opinionisti e politici) hanno ripreso a parlare di “scontro di civiltà”. Le recenti vicende possono essere intese come una conferma di quanto previsto da Huntington? 

Il mondo è una fabbrica di rancore, in cui ogni giorno qualcuno si sveglia e si chiede chi potrà uccidere. Tuttavia, va detto che alcune migliaia di fanatici indottrinati non rappresentano una “civiltà”, ovvero quel mondo islamico composto da quasi un quarto degli abitanti del pianeta che si vorrebbe in “scontro”. Certo, nelle aree controllate da gruppi armati islamisti vige l’intolleranza più assoluta. E lì, in quei luoghi, vige lo scontro, e ne pagano le conseguenze le popolazioni civili, le donne e le minoranze etniche e religiose.

  

– La maggior parte dei commentatori, in questi giorni, va sostenendo che il mondo occidentale avrebbe grosse responsabilità in merito a quanto verificatosi. O perché avrebbe peccato di superficialità o di eccessivo “buonismo” nel sottovalutare il “pericolo islamista” o, invece, per aver promosso azioni politiche e militari tali da innescare forti pulsioni vendicative nei propri confronti. Ti sembra ci sia del vero in queste accuse?

Sì, anche se non rendono in alcun modo giustificabile chi compie azioni efferate. Quando sopra scrivevo che il mondo è una fabbrica di rancore, è evidente che ci sono responsabilità da parte di chi quel rancore lo ha creato. Mi riferisco al doppio standard usato da Usa ed Europa nel conflitto israelo-palestinese, a operazioni militari illegali e avventate e, soprattutto, all’atteggiamento avuto in questi quattro anni di guerra in Siria. Neanche l’amministrazione di un condominio avrebbe avuto la maldestra idea di creare, finanziare e armare gruppi armati a forte connotazione religiosa per abbattere il regime di Bashar el-Assad. Invece è quanto accaduto, col risultato che il nemico di ieri non è più il peggiore dei nemici. La lezione dell’Afghanistan non è servita.

Quanto al “buonismo”, espressione sintetica che riassume per denigrarle quelle scarse e isolate politiche di accoglienza, ricerca e soccorso degne di essere ricordate in Europa (di cui l’italiana operazione Mare nostrum è un ottimo esempio), non c’entra niente. È indimostrabile che il “pericolo islamista” arrivi dal mare in Europa, quando è più che dimostrato che detto pericolo si trova in Europa, impersonato da cittadini europei sedotti da predicatori perversi, spinti ad andare a fare il percorso militare, ideologico e religioso in Siria e poi pronti, una volta tornati in Europa (in aereo, non con “Mare nostrum”!) ad applicare sanguinosamente quanto appreso.

 

– Molti, poi, ritengono necessario rafforzare le difese della “fortezza Europa” sul piano poliziesco e qualcuno è arrivato anche a invocare il ripristino della pena di morte. Amnesty International cosa risponde a simili richieste/proposte?

Chi parla di pena di morte non sa di cosa parla e approfitta di fatti di sangue per acquisire consenso. Salvo che ai fautori del ritorno del boia non piaccia l’esempio del Pakistan, dove, a seguito della terribile strage della scuola di Peshawar del dicembre 2014, sono stati attivati i tribunali militari che hanno emesso decine di condanne a morte al termine di processi sommari, spesso basati su prove estorte con la tortura.

È questo il modello di “fortezza” che abbiamo in mente? Un continente dominato dall’odio, governato dai “Ministri della Paura” (in Italia non mancano candidati!), pronto a replicare l’esperienza della guerra lanciata dagli Usa dopo il 2001, in cui si è scelto di combattere il terrorismo col terrore? Non è bastato il fallimento di quell’esperienza a far comprendere che i diritti umani non sono un ostacolo alla lotta al terrorismo, bensì un ostacolo al terrorismo?

 

– Quali strategie andrebbero adottate, a tuo avviso, per arginare o, perlomeno, tenere sotto controllo il pericolo di un dilagare di pericolosi fenomeni di intolleranza che potrebbero condannarci ad un futuro di tensione, di paura e di sangue?

Sopprimere le libertà civili, accantonare lo stato di diritto è un errore sia dal punto di vista morale che giuridico. Compito delle organizzazioni per i diritti umani è di vigilare, paese per paese, che ciò non accada. Anche e soprattutto sul territorio, dove maggiore è il rischio che le numerose fobie di cui è vittima parte dell’opinione pubblica siano rinfocolate da dichiarazioni irresponsabili, incendiarie e istiganti all’odio (spesso, grottescamente, fatte richiamando la “libertà d’espressione”). Più che mai è necessario parlare di diritti umani nelle scuole. Infine, mi permetto di dire che si dovrebbe anche finirla di chiedere “la patente di buon musulmano” o pretendere che ci si scusi, ci si dissoci. Quando l’Esercito di resistenza del Signore ha commesso crimini orribili e indicibili in Uganda per anni e anni, quando cristianissimi cittadini libanesi hanno fatto stragi nei campi profughi palestinesi a Tall el Zaatar nel 1976 e a Sabra e Chatila nel 1982, non abbiamo mica preteso dalla popolazione cattolica analoghe scuse e dissociazioni! Sapevamo che non c’entrava niente.


Roberto Fantini

(da Free Lance Internationa Press, 24 gennaio 2015)


TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276