Arte e dintorni
Raffaello. La Madonna Esterházy in visita a Milano
22 Dicembre 2014
 

Il Comune di Milano ha rinnovato anche quest’anno l’appuntamento con i capolavori d’arte per offrire alla città, durante le feste di Natale, un incontro speciale con la bellezza. Nella Sala Alessi a Palazzo Marino è ospitata la Madonna Esterházy di Raffaello, splendida opera del genio del Rinascimento proveniente dal Museo delle Belle Arti di Budapest (Szépművészeti Mǔzeum).

La mostra, curata da Stefano Zuffi (catalogo Skira), aperta fino all’11 gennaio 2015, fa parte del programma di “Expo in Città”, per accompagnare la vita della città, verso la ricchezza del ‘bello’ e della ‘cultura’.

Nella storia italiana, nel cuore del Rinascimento, c’è stato un momento davvero particolare: siamo a Roma nel 1508 e, a poche decine di metri di distanza, Raffaello e Michelangelo hanno iniziato a dipingere i loro massimi capolavori, le Stanze del Vaticano e la volta della Cappella Sistina. È l’alba del giorno più bello della pittura italiana, ed è in quel tempo che inizierà proprio la Madonna Esterházy.

Il dipinto rappresenta una scena ampia e soleggiata distesa di paesaggio, e non presenta difficoltà iconografiche: la Madonna, in una complessa e insieme elegante posa sorregge il piccolo Gesù, che indica san Giovannino, assorto nella contemplazione di un sottile cartiglio. È un piccolo e poetico episodio dal sapore famigliare: non c’è accenno di aureole, i due bambini sono completamente nudi, la Madonna è vestita e acconciata con semplicità. La composizione si ispira in modo esplicito a Leonardo, conosciuto e studiato attentamente da Raffaello durante i quattro anni passati a Firenze; ma sullo sfondo appaiono i ruderi del foro Romano, dipinti con precisione topografica, a riprova di una conoscenza diretta e di una serena e convinta “immersione” nella classicità.

Considerando che non se ne conosce un committente o una destinazione antica, tutto lascia pensare che Raffaello l’abbia sempre tenuta con sé, come la memoria tangibile della scelta fondamentale della sua carriera: un’opera intima, dunque, quasi segreta. La tavola, infine, non è del tutto compiuta, mancando alcuni ritocchi proprio dell’ultima stesura.

La Madonna Esterházy appare nella sala Alessi tra altri due dipinti milanesi, simili per soggetto e per epoca: la Vergine del Borghetto, senza dubbio la migliore coppia antica della Vergine delle rocce di Leonardo rimasta a Milano, concessa dall’Istituto delle suore Orsoline e attribuita a Francesco Melzi; e la Madonna della rosa di Giovanni Antonio Boltaffio, prestito del Museo Poldi Pezzoli. È così possibile osservare le evidenti affinità nelle espressioni dei volti e nelle pose dei personaggi, ma anche le profonde differenze nella concezione del paesaggio e delle luci, mettendo direttamente a confronto l’interpretazione di Raffaello e quella dei seguaci milanesi di Leonardo.

Come sempre, Raffaello risulta chiaro e immediato, e i personaggi sono subito riconoscibili, al contrario delle volute ambiguità di Leonardo, che nella Vergine delle Rocce lascia il dubbio sulla identificazione dei due bambini. Nella Madonna Esterhházy Gesù appare un po’ irrequieto, tanto da costringere Maria a un’insistita rotazione per sorreggerlo ed evitargli di scivolare dal ripiano roccioso su cui è seduto. Tutti e tre i personaggi guardano verso lo stesso punto, in direzione del sottile arricciolato cartiglio tenuto in mano da san Giovannino: con accurata raffinatezza, Raffaello organizza un gruppo compatto ispirato evidentemente alle composizioni piramidali di Leonardo, all’interno del quale ogni personaggio si muove in autonomia. Il tema geometrico del triangolo viene ribadito dalla montagna che appare in lontananza sulla destra e dal gruppo di ruderi e torri sullo sfondo a sinistra. Raffello concentra la meditazione sui motivi leonardeschi nella composizione del gruppo, nelle fisionomie dei personaggi, nella relazione gestuale e sentimentale che lega in modo perfetto i protagonisti. Lo scenario naturale, arricchito dalla nitida veduta del Foro romano, accoglie una perfetta luminosità un elegantissimo esercizio di torsioni reciproche, di movenze intrecciate, con l’andamento avvolgente di una spirale complicata, ma che risulta meravigliosamente spontanea. Dopo la grande mostra londinese del 2011-2012, dedicata a Leonardo alla corte di Ludovico il Moro, Boltraffio si è definitivamente confermato come il più dotato tra i lombardi che orbitavano intorno al maestro fiorentino. Il confronto con Raffaello mostra come anche Boltrraffio sia ovviamente affascinato dai “moti dell’anima” evocati da Leonardo, e partecipi alla ricerca di una gestualità concatenata e contrapposta. Tuttavia, mentre il gruppo di Raffaello si distende in una equilibrata armonia con lo spazio aperto circostante, Boltraffio presenta l’immagine di un deciso clos-up, con i protagonisti ravvicinati al riguardante fino a dare l’impressione di uscire dalla superficie del dipinto. In sintesi, la presenza delle più importante copia antica della Vergine, che per una coincidenza fortuita è oggi conservata a breve distanza dalla non più esistente chiesa di San Francesco Grande, alla quale era destinato l’originale, offre lo spunto per misurare il perimetro di una pagina importante della storia dell’arte italiana: il momento in cui, alle soglie del XVI secolo, le diverse tradizioni locali si confrontano con modelli condivisi, offrendo soluzioni diverse.

La Madonna Esterházy, ora a Milano, può integrarsi perfettamente tra i due capolavori di Raffaello da secoli presenti nelle storiche collezioni d’arte della città: lo Sposalizio della Vergine di Brera (1504), che segna il passaggio della giovinezza umbro-marchigiana al periodo fiorentino, e l’incomparabile cartone della Scuola di Atene dell’Ambrosiana, emozionante testimonianza del cantiere della Stanza della Segnatura.

 

Maria Paola Forlani


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