La mia vecchia Pontedoro, ché io non so neppure come si scrive, ma lo scrivo così perché mi piace. Centrale Enel in disarmo, l’altoforno Lucchini spento, archeologia industriale del passato, una spiaggia cadente e quel che resta dei ricordi. Il Quagliodromo, tra lo scintillare delle acque sotto il riflesso del sole, un posto dove chiamano le spiagge con nomi e numeri, gabbianelle e aironi non lo sanno, si spostano inconsapevoli tra Perelli 1, a destra della centrale inattiva, milioni d’anni fa scenario d’un epilogo a carbone fermato dal referendum. Erano i tempi in cui credevamo alla politica, adesso resta soltanto un povero bagno costruito tra le ciminiere come nel film di Virzì, un bagno e il mare di settembre, triste come le tamerici salmastre ed arse che si affacciano sul litorale, macchia mediterranea e sterpaglie, bassa come i ricordi che si tuffano tra le onde increspate d’un mare tranquillo. Alle spalle dei miei pensieri il Monte Calvi, Campiglia e gli scavi del calcare, la montagna distrutta che avrebbe cambiato il clima e modificato il corso dei venti. Perelli 1 e un immenso retone da pesca piazzato nel mare da chissà quale pescatore, ai tempi in cui ero un bambino distratto da sogni e pensieri, non mi fermavo a guardare la realtà, tutto era troppo normale. Adesso, invece, è il normale a diventare straordinario, persino un ristorante che separa Perelli 1 da Perelli 2, luogo di cene luculliane, eccessi giovanili che non rammento, troppo cambiato nel volgere degli anni. I bagni gestiti da operai dell’altoforno in cassa integrazione, in aspettativa, prepensionati, che non sono gli stessi bagni di Viareggio, neppure dell’Elba, ma spiaggia riconvertita al turismo. Un mare privato che convive con arenili stretti lasciati al popolo delle ferie a basso costo, un mondo di operai, un sottoproletariato urbano diverso dagli anni Settanta, che la domenica pranza ancora su tavoli improvvisati tra pini e tamerici, lecci e calette assolate. All’orizzonte cespugli bassi e informi modellati dal vento, braccia di pini ritorte, forcelle di rami in croce, scolpite da sole e salmastro, un bagno che sfoggia un nome tropicale e ombrelloni caraibici con il tetto di guano. Il Nano Verde, accampamento di giovani a caccia di emozioni estive, tra fitta boscaglia e pineta marittima, alta, imponente, che scopre le prime case di Riotorto, improvvisa apparizione sul litorale, la spiaggia del Mortelliccio, Carbonifera, arenile con sentori africani per il viandante marino che scorge due insolite palme sul litorale. La nostra spiaggia bassa e stretta che fa intuire il golfo di Follonica, il nostro mare brullo, chiazzato di ricordi industriali e pineta, lecci e tamerici, cosparso di canzoni d’amore perdute, racconti lasciati appassire sulla punta della penna, emozioni dimenticate, pomeriggi indimenticabili. Pochi cespugli a ridosso delle dune, sembra d’essere in un vecchio film di Pasolini o in una commedia di Citti, pare di trovarsi sulla spiaggia di Casotto, Ostia o Fregene non importa, è il nostro mare, la nostra Maremma assolata, un tempo flagellata da zanzare e malaria, adesso arenile per turisti e indigeni, tra Torre del Sale e Torre Mozza, in odor di pirati e pinete. Pratoranieri è già Follonica, con i grattacieli di mare, rimpianto del tempo perduto e d’una pineta fantastica scambiata per posti di lavoro, per un lavoro che adesso ci abbandona e non sappiamo che fare. Alle spalle dei pensieri la campagna, uliveti e bosco, davanti ai nostri occhi lo Scoglio della Troia, Punta Ala, le Formiche, Porto Santo Stefano, il Giglio e il fantasma d’una nave affondata. La barca fa rotta di nuovo verso Piombino. Tempo è di ritornare ai nostri altiforni spenti, alla collina della Tolla, al Porto che si spinge nel mare, per abbracciare l’Elba. Piombino è un gigante addormentato, senza fumi, senza odori, senza i finti tramonti color rosso fuoco. A ogni ora del giorno, va in scena il riposo del guerriero, il riposo eterno, tra una centrale elettrica inattiva e un altoforno spento, solo tanto mare e spiagge abbandonate, tra quel che resta di Pontedoro e la macchia mediterranea. Pini marittimi della mia infanzia, sentinelle d’un’adolescenza perduta, sorveglianti storici del mio presente. Vive nei miei ricordi un perduto splendore.
Gordiano Lupi