La vicenda russo-ucraina contiene germi di una pericolosità mai vista in Europa, simili per certi versi a quelli innescati dalla Serbia di Milosevic ma evidentemente più pericolosi perché la Russia di Putin non è paragonabile con la Serbia di allora.
Nulla nella storia si ripete uguale ma non vi è dubbio che le analisi che pongono in paragone quello che accade nell’Ucraina dell’est con l’ingresso di forze regolari e irregolari russe a “protezione” dei russofoni ucraini ricordano vicende del 1938 e 1939 che sono finite in una delle tragedie più gravi della storia.
Il recente passato ci racconta di Putin in Cecenia a distruggere qualsiasi opzione democratica radendo al suolo un’intera regione per ricostruirla consegnando nelle mani di improbabili gerarchi il Caucaso e ci parla della Georgia dove i confini sono stati modificati in seguito ad un intervento armato che non ha avuto alcuna conseguenza.
L’indifferenza è il primo dei complici di quanto accade.
Senza voler fare allarmismi o paragoni forzati credo che l’Europa debba cogliere questa vicenda come spinta in avanti per costruire un’unione politica verso gli Stati Uniti d’Europa.
A cominciare dalla politica estera e di difesa, per passare alla politica di gestione del fenomeno dell’immigrazione e a tutti gli altri aspetti che sono da affrontare con una sola voce (fisco, ambiente, energia, lavoro, etc.) e non in un pollaio di quasi 30 elementi. Una politica energetica comune che riuscisse ad affrancarci dalla dipendenza dal gas russo la chiediamo (come radicali) da anni; oggi toglierci dal collo il cappio di Gazprom significherebbe ridurre praticamente a zero il potere di ricatto di Putin.
Mi piacerebbe che il nostro Governo cogliesse l’occasione del semestre italiano per impegnarsi a fondo nella costruzione vera e concreta di una patria comune europea; sarebbe una risposta strategica contro il cieco euroscetticismo e darebbe un segno tangibile all’espansionismo di Putin, il quale sa benissimo che sulla carta, oltre alle parole, non esiste nemmeno la possibilità teorica per l’Europa di contrastare l’avanzata, dato l’evidente nanismo politico.
Oggi lo Zar ci ha ricordato che se volesse prendere Kiev gli basterebbero due settimane!
L’Europa del 1938 e 1939 voltò la faccia dall’altra parte, non facciamolo noi adesso.
Igor Boni
(dal suo Blog, 2 settembre 2014)