Arte e dintorni
Dosso Dossi. Rinascimenti eccentrici 
Al Castello del Buonconsiglio di Trento
Dosso Dossi,
Dosso Dossi, 'Sacra Famiglia' (Pinacoteca Capitolina, Roma) 
18 Luglio 2014
 

Nella seconda edizione dell’Orlando Furioso, datato 1532, al canto XXXIII, così scriveva Ludovico Ariosto:

...e quel che furo a’nostri di’, o sono ora.

Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino,

duo Dossi, e quel ch’a par sculpe e colora

Michel, più che mortal, Angel divino;

Bastian, Rafael, Tizian, ch’onora

Non men Cador che quei Venezia e Urbin…

Insomma tra i grandi artisti del suo tempo Ariosto annovera il conterraneo Dosso Dossi e il fratello e la sua non era certo un’opinione isolata.

Dosso, il più famoso dei fratelli Dossi, raggiunse gloria, fortuna ed ebbe commissioni dalle più importanti corti rinascimentali italiane.

La mostra, allestita in quelle stesse sale che tra il 1531 ed il 1532 lo videro protagonista a Trento assieme al fratello Battista nella decorazione del Magno Palazzo del Castello del Buoncosiglio, racconta lo straordinario percorso di questo eccentrico pittore del Rinascimento. Ideata dalla Galleria degli Uffizi di Firenze nell’ambito del progetto “La città degli Uffizi”, la rassegna propone una quarantina di dipinti che mettono a confronto le opere di Dosso e Battista tracciando le tappe artistiche di Dosso alla corte di Alfonso d’Este a Ferrara, a Pesaro presso la duchessa Eleonora d’Urbino fino a Trento al servizio del principe vescovo Bernardo Cles. Questi magnifici dipinti realizzati da Dosso nel corso della sua lunga e fortunata carriera dialogano con gli affreschi del castello. Il principe vescovo Bernardo Cles, consigliere degli imperatori Massimiliano I e Carlo V, grande umanista, amico di Erasmo da Rotterdam e cardinale che sfiorò l’elezione a pontefice, ha per Dosso parole di elogio e ammirazione. Del resto Dosso arriva a Trento preceduto da grande fama tanto da essere pagato il doppio rispetto ai colleghi Fagolino e Romanino, anche loro impegnati a rendere magnifica la residenza principesca. La rassegna è un modo per ricordare anche il legame che unì i Dosso alla città del Concilio: Trento fu infatti la città che diede i natali a Niccolò Lutteri il padre di Dosso e Battista, e dove visse prima di trasferirsi a Mirandola sul finire del Quattrocento. Verosimilmente un giovanissimo Dosso iniziò da Mirandola un percorso formativo che lo portò a conoscere i più grandi maestri del Rinascimento.

Nella complessa pittura di Dosso, originale, elegante ed allegorica, affiora costantemente l’influenza dei grandi maestri: da Venezia apprende la lezione da Giorgione (in mostra vi è il celebre Suonatore di flauto della Galleria Borghese), da Roma conobbe la maestria di Raffaello (in mostra sfilano alcune stampe da Raffaello di Marcantonio Raimondi), con Tiziano (in mostra vi è il ritratto di un cavaliere di Malta proveniente dagli Uffizi) vi fu un costante colloquio artistico, a Ferrara incontrò Michelangelo (in mostra due magnifici disegni di casa Buonarroti). Dagli inizi del Cinquecento divenne ben presto il pittore favorito dei duchi di Ferrara, abbandonando la corte soltanto in due occasioni, la prima a Pesaro al servizio della duchessa Eleonora di Urbino e la seconda a Trento quando affrescò diversi ambienti del Castello del Buoncosiglio. Vita di corte la sua. Dalle vallate trentine alla corte degli Este a Ferrara, vale a dire uno dei centri culturali più raffinati del mondo d’allora. Qui, ma anche altrove, trovò una committenza intelligente, stimolante, non contraria, anzi apertissima ad accogliere le sue meravigliose creazioni che risentono e risuonano di storie sacre, mitologiche con il filtro dell’invenzione, delle conoscenze alchemiche, di una sottile vena di intelligente ironia e divertimento.

La mostra, curata dallo storico dell’arte Vincenzo Farinella con Lia Camerlengo e Francesca Grammatica (catalogo Silvana Editoriale), porta alla luce nuovi documenti che danno la possibilità di tracciare un inedito ritratto del grande pittore estense. La possibilità di allestire l’esposizione nelle sale dossesche del Castello ha provocato straordinari stimoli da parte degli studiosi per una revisione del delicato problema della collaborazione instauratasi a Trento tra i due fratelli, confrontando, così, altre opere lì convocate dello stesso ambito cronologico, di poco precedenti o posteriori la realizzazione della decorazione del Buonconsiglio, analogamente frutto dell’intervento congiunto di Dosso e Battisata.

La mostra è articolata in sezioni, orientate a far luce in particolare sull’attività svolta dai due fratelli pittori nel terzo e quarto decennio del Cinquecento, a monte e a valle dell’intervento nel Magno Palazzo di Bernardo Cles. Tra i capolavori dosseschi è presente il magnifico dipinto Giove pittore di farfalle quadro enigmatico quanto la Tempesta del Giorgione. La storia del dipinto, conservato fino a qualche anno fa al Kunsthistoriches Museum di Vienna ed ora custodito nel Castello del Wawel a Cracovia, ha affascinato studiosi per il messaggio che cela e per la straordinaria qualità esecutiva. Opera confiscata nel 1939 dai nazisti alla famiglia del conte Lanckoronski, è una delle più significative prove della maturità del pittore ferrarese.

L’idea di divinizzare la Pittura, inserendo Apelle tra gli dei classici, potrebbe essere stata ispirata da una fonte letteraria antica, il proemio delle Immagini di Filostrato Maggiore, dove si afferma esplicitamente che “la pittura è un’invenzione degli dei”: un testo che sembra aver fornito anche la base testuale per l’inedita invenzione di raffigurare Giove nell’atto di dipingere, quasi che il sommo dio antico, personalmente impegnatosi a inventare l’arte pittorica, non volesse essere disturbato, proprio come il duca di Ferrara quando si trovava nella sua splendida delizia del Belvedere, nei momenti d’ozio dedicati a passatempi intellettuali.

 

Maria Paola Forlani


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