L'ultimo dei milanesi
Solo me ne vo per la città… Un itinerario nella Milano dei Promessi Sposi 
di Mauro Raimondi
Giovanni Schiaroli,
Giovanni Schiaroli, 'Renzo a Milano' 
11 Luglio 2014
 

È bellissimo, le domeniche d’estate, passeggiare di mattina presto per Milano.

Perciò, ho pensato di far cosa gradita proponendo alcuni itinerari che si possono completare in un paio d’ore e mezza di cammino.

Il primo riguarda un libro che più milanese non si può, I Promessi Sposi, e il mio consiglio è quello di leggerlo durante il percorso, seguendo passo per passo il tragitto della prima venuta di Renzo a Milano, collocata da Manzoni il pomeriggio dell’11 novembre 1628, quando in città era appena scoppiata una rivolta per l’aumento del prezzo del pane.

Il nostro “eroe” era giunto a Milano nell’attesa che al suo paese le acque si calmassero un po’, e testo alla mano si può cominciare la passeggiata dai resti del Lazzaretto di via S. Gregorio (quasi all’angolo con corso Buenos Aires, MM1 Lima o Porta Venezia), che Renzo costeggiò su indicazione di uno sconosciuto. Costruito a fine ‘300, era lungo 378 metri e largo 370, con 288 celle che misuravano 22 mq. Adesso, dopo la demolizione di fine ‘800, ne restano solo sei, visibili dall’esterno (da notare: i camini) e magari anche dall’interno, chiedendo al responsabile della chiesa ortodossa che le occupa attualmente (di solito, è cortese).

Dopo di che, proseguiamo verso viale Tunisia: in largo Bellintani, infatti, si trova la Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, che allora si stagliava al centro della struttura ed era aperta da ogni lato per permettere a tutti i malati di vedere officiare la messa. L’edificio religioso è spesso chiuso, ma il suggerimento è di chiudere gli occhi e lasciarsi andare alla suggestione: ora ci troviamo nel cuore del Lazzaretto.

Passata l’emozione, prendiamo via Palazzi e alla fine giriamo a sinistra dirigendoci verso i Bastioni di Porta Venezia in piazza Oberdan, dove si trovava la Porta Orientale. In epoca spagnola i due attuali caselli non esistevano (furono costruiti nel 1829) e l’ingresso alla città era costituito da due spogli pilastri con una misera tettoia a sormontarli, mentre a fianco si ergeva una casetta per le guardie. Attorno, il paesaggio era desolato, con rifiuti e oggetti vari sparsi ovunque, sentieri polverosi, un piccolo corso d’acqua. E fu questo che Renzo vide, prima di entrare senza problemi in città imboccando l’attuale corso Venezia.

Anche in questo caso, resettiamo il presente e immaginiamoci solo qualche orto e delle povere casupole di lavandai. Nel ‘600 la zona era infatti situata in piena periferia, e la grande trasformazione dell’area avvenne solo a fine ‘700, quando l’aristocrazia, che amava recarsi sui bastioni per chiacchierare da una carrozza all’altra (a volte, infilandocisi dentro…) e osservare il paesaggio (fino alla fine dell’800 fu vietato costruire nei pressi della Porta degli edifici che nascondessero la vista dei monti, la cosiddetta “servitù del Resegone”), vi costruì splendidi palazzi.

Renzo, indirizzandosi verso il centro della città, passò davanti all’attuale via Borghetto, dove si innalzava la Croce di San Dionigi, così denominata per ricordare la chiesa voluta da S. Ambrogio alla fine del IV secolo e in parte demolita a metà del 1500 per la costruzione delle mura spagnole ordinate da Ferrante Gonzaga. Sotto di essa Renzo trovò dei pani e lì vicino assistette alle discussioni tra i tre componenti della famiglia che si allontanavano da Milano carichi di farina.

Noi, insieme a lui, camminiamo dunque per il corso, fermandoci dove ora si staglia il Palazzo Rocca-Saporiti, citato da Manzoni per il suo loggiato. L’ampia balconata fu concepita per poter assistere al passaggio delle carrozze (di domenica, nel ‘700-‘800, si formavano dei veri e propri ingorghi) e il suo proprietario, Gaetano Belloni, gestiva i giochi d’azzardo che si tenevano nel ridotto del Teatro alla Scala. Ai quali si dedicava da giovane perfino Manzoni: ma da quando vi fu sorpreso da Vincenzo Monti che lo rimproverò aspramente, il futuro autore de I Promessi Sposi non si fece più vedere…

Ai tempi di Renzo il palazzo non esisteva (così come la villa di via Palestro e i Giardini di Porta Venezia, il primo parco pubblico milanese progettato dal Piermarini nella seconda metà del ‘700), e il “montanaro” girò a sinistra in via Serbelloni, e poi ancora a sinistra dove adesso è situata via dei Cappuccini, a memoria della Chiesa e del convento distrutti nell’800. Proprio lì, dove allora c’era una piazzetta coronata da olmi (e adesso solo auto, case e cemento), Renzo era diretto per mettersi sotto la protezione di padre Bonaventura. Il quale, però, era assente, e così il giovane riprese corso Venezia e si diresse verso il centro, attratto dal brusio che ne proveniva.

Manzoni, a questo punto, toglie Renzo dalla cartina per farcelo ricomparire davanti al forno situato nella zona di corso Vittorio Emanuele. Quindi, si può immaginarlo mentre prosegue diritto varcando il defunto Naviglio all’altezza di Palazzo Serbelloni, passa nei pressi della chiesa di S. Babila, (allora, ovviamente, la piazza non esisteva) per poi prendere corso Vittorio Emanuele. All’epoca, il viale era diviso in tre parti: all’inizio, dove ora si trova S. Carlo al Corso, vi era la contrada dei Sacchetti, forse dal nome di una famiglia; poi, la Stretta dell’Omm de preja, dalla statua romana attualmente posta in una nicchia al n. 13 e chiamata dai milanesi “El sciur Carèra”, usata per attaccarvi dei foglietti contenenti delle satire su uomini famosi. Infine, vi era la contrada del Còmpito, forse per la presenza, in epoca romana, di un tempio ai Lari Compitali.

Attualmente, all’altezza del numero 1 di corso Vittorio Emanuele, si può vedere una targa che ricorda il passaggio di Renzo. In realtà il locale si trovava nelle vicinanze, ma sulla sua esistenza non vi sono dubbi: era il pristinum Scanciorum, cioè il forno della famiglia Scansi, di origini toscane, che Manzoni riportò erroneamente scambiando il cognome con la traduzione in milanese del termine scansi, che significa “grucce”. Comunque sia, tale fu la “pubblicità” indiretta che lo scrittore regalò al negozio, che si racconta della sua riapertura nell’800 con tanto di dolci regalati dal proprietario ad Alessandro Manzoni.

Dopo aver deplorato l’assalto al forno, Renzo seguì la folla che si stava dirigendo verso piazza del Duomo e si infilò tra la cattedrale e la Rinascente. Quindi, poco oltre l’entrata dell’attuale Galleria, dove adesso è tutto aperto, si imbatté nel lato di un edificio, il Portico dei Figini, che lo costrinse a girare a sinistra e ad entrare nella piazza, osservando affascinato la mole della chiesa ma anche la facciata ancora incompleta. Questo, adesso, non può accadere, perché il Portico dei Figini e il Rebecchino, l’altro edificio popolare posto in prossimità del Duomo, furono spazzati via nella seconda metà dell’800 proprio per svecchiare il cuore della città e renderlo più consono al ruolo di “capitale italiana della modernità” rivestito da Milano.

Così, lasciato il Duomo dietro le spalle, Renzo transitò per la via della Pescheria vecchia e passò sotto l’arco dell’omonima Porta, sbucando in piazza Mercanti. Oggigiorno entrambe non esistono più, ma è sopravvissuto il Palazzo dei Giureconsulti, dove in una nicchia è custodita una statua di S. Ambrogio. Ai tempi della stesura del romanzo la nicchia, che aveva ospitato una statua di Filippo II e poi un’altra di Marco Bruto, era “senza proprietario”, e si dice che fu proprio il racconto del Manzoni a spingere il cavaliere Giuseppe Fossani a commissionare la statua del santo, che venne lì posizionata nel 1833. Procedendo, Renzo sfiorò pure quel pozzo che ora si staglia in mezzo a piazza Mercanti, ivi spostato per ragioni di viabilità sempre nell’800. La parete bassa veniva chiamata la “pietra dei falliti”, perché vi si sedevano i morosi prima di essere rinchiusi in prigione.

Ormai, siamo arrivati quasi alla fine del nostro trekking. Renzo, dopo aver oltrepassato l’altro arco che chiudeva la piazza, entrò nella scomparsa via dei Fustagnai e quindi nel Cordusio, dove la gente si era recata sperando di assaltare un altro forno. Nel ‘600 l’attuale piazza era solo un slargo che prendeva forse il nome dal palazzo di Albino, generale del re longobardo Alboino. Nell’area, secondo la tradizione, nel 1311 i Torriani cercarono di uccidere l’imperatore Enrico di Lussemburgo, venendo però traditi dai Visconti e firmando la loro fine.

Il forno, tuttavia, era presidiato, e così la folla puntò minacciosa verso il palazzo del Vicario di Provvisione, Ludovico Melzi, posto in via S. Maria Segreta all’altezza del n. 7/9 (dove fino ai primi del ‘900 esisteva una chiesa ai cui religiosi i milanesi chiedevano di esporre la statua di un angelo per fare piovere...).

E proprio qui, all’angolo con via Meravigli, si chiude la passeggiata perché, dopo aver aiutato il Gran Cancelliere Ferrer a salire dal Vicario (e averne incrociato lo sguardo, tanto da pensare di esserne diventato amico), Renzo assistette all’uscita dei due personaggi (direzione Castello) e poi si avviò all’Osteria della luna, che qualche storico ha ipotizzato fosse in via Armorari. Dove, come si sa, si ubriacò e venne arrestato.

Buona camminata e soprattutto buona lettura a tutti. Saludi

 

 

Fonti consultate:

- Bindoni G., La topografia del romanzo “I Promessi Sposi”, Vallardi, 1928

- D’Adda R. (a cura di), Le città d’arte. Milano, Skira, 2008

- Lopez G., Severgnini S., Milano in mano, Mursia, 1990

- Santi G., Spagnol M., Guida ai misteri e segreti di Milano, Sugarco Edizioni, 1987

- T.C.I, Guida d’Italia. Milano, T.C.I., 2003


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