Ercole
Non avevo saputo più niente di te.
Ricordo, quand'ero piccolo,
d'averti visto un giorno
con una quercia sulle spalle.
Ti vedevo anche alle feste paesane.
Nelle allegre bianche tavolate
sedevi in disparte.
E ti facevi delle sigarette
piccole piccole
con le tue mani grandi e nere.
Ti sentivo parlare di un paese
senza padroni,
d'uomini liberi e uguali,
dove c'era lavoro e terra
buona, per tutti,
e pace disarmata:
questo paese sognavi per il tuo.
Di te dicevano che eri comunista
e non andavi in chiesa.
Ma lo sciancato gobbo del paese
veniva a casa tua:
t'ho visto un giorno,
sbirciando alla finestra,
che gli lavavi i piedi.
Oggi me l'hanno detto:
– Sai, Ercole, il bracciante,
te lo ricordi?
Ci sollevava con una mano sola
in groppa al suo asino.
Chiamava “frikì” tutti gli animali.
Suonava un flauto di canna
le sere d'inverno:
se l'era costruito lui.
È morto in mezzo alla campagna,
parecchio tempo fa.
Era d'estate,
stava falciando il fieno.
C'era con lui il cane:
dopo il funerale, il suo cane
se n'è andato via.
Nessuno ha saputo dove.
Luigi Fioravanti
* Nel dialetto ascolano, frikì vuoi dire bambino.