Lisistrata
Lidia Menapace. Dall'uno al due; dal monoteismo alla laicità; dalla dialettica alla complessità
04 Maggio 2014
 

Prosegue la riflessione sulla crisi, sulla crisi capitalistica, sulla crisi finale del capitalismo, sul che fare se non si vuole la barbarie.

 

Questa è per ora l'ultima parte delle mie riflessioni di teoria politica ed è -lo so bene- la più indigesta, e quella che mi procura elogi, ma soprattutto ostacoli, quasi censure, mai citazioni, mai offerte in carriera se non per sbaglio: è lo stop ovvio, che tutti e molte capiscono subito: qui è in gioco il potere e il potere è dell'uno, di Dio, del maschio: chi prova a incrinare questo blocco di marmo pur ricco di crepe, rischia di finirci sepolta sotto, con molti onori, non tutti.

Parto dall'occasione di un aneddoto capitatomi molti anni fa: cercando di usare un linguaggio inclusivo e fedele ai significati delle parole, mi avvenne di chiedere a una che affermava: “Voglio fare tutto quello che fanno gli uomini”: “Anche le scemenze? se ti impegni contro la pena di morte, prima cerchi di togliere la pena di morte o prima chiedi l'ammissione delle donne alla carriera di boia, per la parità?” Credevo fosse l'obiezione cruciale, ma mi fu risposto: “Prima la parità e la carriera di boia”. Tanto può il modello culturale indotto dall'uso millenario.

Dico incidentalmente che mi trattengo a fatica dal correggere i testi, ognivoltache trovo chi bandisce una “battaglia” per la parità, oppure usa “le armi” della dialettica ecc. ecc. Cerco di dire sempre “lotta” invece che battaglia e “strumento” invece che arma. Perché? perché la lotta, che è uno sport duro, e mette l'avversario a terra umiliato, non può però volerne né procurarne la morte o il danneggiamento fisico permanente, mentre la battaglia figura sempre un tipo di scontro nel quale la morte è prevista; vale lo stesso per “armi”. Il primo grido dei pacifisti tedeschi fu “Krieg dem Kriege!”, “guerra alla guerra!” che segnava la vittoria simbolica della guerra. Una lotta politica lascia un futuro a chiunque lotti, una battaglia politica lascia Letta col coltello nella schiena politicamente morto.

Visto che mi sono avviata sul sentiero dei significati, dico pure che mescolare disinvoltamente riformismo riforma riformatore/trice e rivoluzione rivoluzionario/a è improprio e falso, è un modo di parlare che non dice sì sì no no come suggerisce il Vangelo, ma si serve dei discorso sofistico che già i Greci avevano indicato come non veritiero o non interessato al vero. Ad esempio Renzi, che chiama rivoluzione ogni sua emissione di voce, magari perentoria e senza contraddittorio, e usa spesso rivoluzione per indicare ciò che sta tentando di fare, deve sapere che ciò che tenta è per fortuna al massimo riformisticchio, e che tutte le riforme -soprattutto se piccoline- hanno carattere per fortuna reversibile, mentre la rivoluzione che “muta” lo stato di cose presenti è -come insegna la biologia- irreversibile.

Torniamo all'assunto principale del mio attuale intervento: e senza ulteriori indugi o premesse riparto dalla prima parte del titolo: dall'uno al due.

 

Si ricorda una lotta politica fatta dalle donne cinesi organizzate al tempo di Mao. Che era sensibile a quella che veniva chiamata nella tradizione marxista, la “questione femminile”. Cominciò a usare la locuzione: “La seconda metà del cielo” per dire le donne, usando come si fa in cinese -mi dicono- cielo per universo. “Perché la seconda?” chiesero le donne comuniste organizzate. Allora Mao corresse: “l'altra metà del cielo”, “Perché l'altra?” richiesero la donne comuniste organizzate e tenaci, e per evitare ulteriori equivoci dissero: “La forma corretta è: una metà del cielo, e poi dice se gli uomini o le donne”. Perfetto. Importante infatti è evitare qualsiasi uso che stabilisca una gerarchia tra i generi.

Esiste dunque la metà femminile e la metà maschile della specie umana; ma oggi per dichiarazione delle N.U. ci si deve sempre ricordare che poi nella concretezza le donne sono la maggioranza stabile della popolazione dell'universo e di ogni paese che ne fa parte. Alcuni sostengono che l'unico stato per il quale questa affermazione delle N.U. non vale è lo Stato della Città del Vaticano, ma solo perché si dimenticano le Suore. Comunque lì non vota nessuno, a parte i Cardinali per eleggere il papa, come sostituti dello Spirito Santo: una cosa tutta tra maschi, non ci sono le cardinale e del resto nemmeno le vescove e nemmeno le prete: e lo Spirito Santo, che soffia dove vuole capricciosamente e in ebraico si chiama Ruah, e potrebbe essere il segno del femminile in Dio, è stato definito come un guerriero a cavallo con spada sguainata e tutto in una Enciclica di papa Wojtyla di recente canonizzato. Sante però ce ne sono tante, dato che le virtù in grado eroico le donne costruite come personalità oblative e modeste le hanno sempre dovute avere in abbondanza. Le cape degli ordini religiosi femminili, quando non si chiamano madri o superiore si chiamano “Badesse”, cioè papacce, dato che Abba vuol dire papà e che il suffisso -essa, -issa in latino è spregiativo.

Si diceva dunque che le donne sono stabilmente ovunque la maggioranza della popolazione mondiale e che ad esse va riconosciuto il diritto di regolare la crescita della specie. Sono disposizioni alle quali viene accordata scarsa risonanza, il che dice qualcosa su chi possiede il potere di informare e i mezzi di produzione delle notizie. A parte ciò, se poi si analizza questa enorme quantità di persone, le donne, si constata che ovunque hanno complessivamente collocazioni sociali inferiori e che le collocate negli strati più bassi costituiscono un enorme sottoproletariato mondiale (dato che per lo più non hanno coscienza di sé) usabile per qualsiasi iniziativa politica. Sembra di poter dire che sarebbe importante che i maschi, quelli che si ritengono di sinistra, progressisti, riformatori, magari rivoluzionari, che si dicono socialisti e comunisti, considerino come compito tra i primi e principali quello di aiutare il nuovo sottoproletariato mondiale a prendere coscienza di sé e a diventare proletariato e soggetto... Naturalmente ciò vale a maggior ragione per quelle donne che per privilegi economici, collocazione sociale favorevole, alta scolarizzazione ecc. ecc. hanno già coscienza di sé, insomma noi femministe.

Se al posto di ciò passa l'emancipazione imitativa, l'omologazione al maschile, la marginalizzazione sociale, il respingimento ai margini della società o alle funzioni e ruoli ancillari, la crisi non si arresta, diventa ancor più strutturale e la barbarie, magari quella del femminicidio, compare proprio nei migliori colleges delle Università Usa.

In che il femminicidio è barbarie e non semplicemente un reato non prescrivibile, il sommo in tutte la tradizioni giuridiche?

La barbarie consiste nel fatto che tale reato non è “semplicemente” un omicidio commesso su una donna: esso poggia sulla ripresa di leggi tra le più antiche e arcaiche, ancora perfettamente egemoni nella memoria dell'umanità. Dice infatti la legge mosaica, la più antica -credo- tra quelle considerate di origine direttamente divina, quella che -secondo la Bibbia- Dio consegnò a Mosè sul Sinai: “Chiunque danneggia una donna incinta o una cavalla pregna deve un risarcimento al marito della donna o al padrone della cavalla” e analogamente si esprime il codice di Hammurabi, scritto direttamente da un re, per disposizione divina. Su vari punti della legge mosaica nel Vangelo si legge che sia intervenuto Gesù Cristo con la formula: “È stato detto, ma io vi dico”, in particolare contro la lapidazione dell'adultera e in altre circostanze, ma in effetti il diritto nelle sue varie forme scritte annovera la donna tra le proprietà della famiglia o del padre o del marito. Sicché l'esercizio della decisione autonoma di interrompere un rapporto è considerato come danno alla proprietà, della quale la donna fa parte come oggetto. Che questo arcaico sottofondo della coscienza maschile si sia risvegliato da un dormiveglia millenario, che non lo ha mai interrotto del tutto è il segno più evidente che, se non si interviene su questi punti, la barbarie avanzerà e già se ne vedono avvisaglie inquietanti nei successi della destra in Francia, e nei discorsi apertamente razzisti verso gli e le immigrate da parte della Lega.

 

La situazione è molto grave, perché incombe pure il rischio di guerra. Che fare? a un prossimo pezzo.

 

Lidia Menapace


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