Tre è un numero magico. Dio è una Trinità. Le tre divinità Brahmā, Śiva e Visnù sono la triplice forma dell'Essere supremo dell'Induismo manifestantesi nella Trimurti. Tre è il numero della perfezione e dell’equilibrio. La Cabala lo fa corrispondere alla lettera GIMEL (cammello) simbolo di un viaggio alla ricerca della saggezza. Renzi ha iniziato presentando tre proposte di riforma elettorale: 1) Modello spagnolo, con piccole circoscrizioni e premio di maggioranza del 15%; 2) Mattarellum corretto, con collegi uninominali, premio al 15%; 3) doppio turno di coalizione sul modello dei sindaci. Questi erano i sistemi sui quali inizialmente si giocava la partita del segretario. Le motivazioni dell’annullamento, come interpretati dai corifei di Renzi, sembravano lasciare via libera a tutti e tre. Tra gli avversari delle sentenza n. 1/2014, soltanto il prof. Zanon nell’audizione del 14 gennaio 2014 disposta dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, aveva, invano, tentato di frenare gli entusiasmi attirando l’attenzione sul passo della sentenza sull’uguaglianza del voto in uscita. Un principio, quest’ultimo, affermato per la prima volta dalla nostra Corte Costituzionale sulla scorta di un preciso riferimento ad una sentenza del Tribunale Costituzionale Federale tedesco.
La sentenza contiene altre novità rispetto alla giurisprudenza precedente e molto più aderente al dettato costituzionale di voto “personale” (art. 48 Cost.) e “diretto” (art. 56 Cost.). Per sottolineare l’aberrazione delle liste bloccate “lunghe” la Corte ha fatto riferimento a sistemi con liste bloccate “corte”, come lo spagnolo, o miste (Germania federale); forse era opportuno che sottolineasse che, in quei paesi, i partiti sono regolati per legge e le liste bloccate deliberate con largo anticipo da assemblee congressuali, mentre da noi l’art. 49 Cost. non ha avuto attuazione. Con liste “corte” è possibile conoscere i candidati, altrimenti impossibile con liste lunghe in circoscrizioni vaste. Nella mia Regione le liste bloccate dei Senatori comprendevano 49 candidati e nella circoscrizioni Camera Lombardia 1 e 2, una quarantina per ciascuna. In nessun punto era detto che con liste bloccare “corte” la preferenza non fosse necessaria: puro e semplice wishful thinking. Per capirlo bastava leggersi il dispositivo: «3) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati». Bastava la logica: se posso finalmente conoscere i candidati, a maggior ragione devo poter esprimere la mia preferenza.
Rappresentanza e governabilità non sono posti dalla sentenza sullo stesso piano. La prima è costituzionalmente tutelata, la seconda è un obiettivo costituzionalmente legittimo: «Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente».
A seguito dell’incontro con Berlusconi le tre proposte di Renzi si sono ridotte ad una, che in un certo senso le riassume: liste bloccate corte, premio di maggioranza e doppio turno di coalizione. Per compensare la rinuncia ai collegi uninominali del Mattarellum il premio di maggioranza (perché non lo chiamiamo più correttamente premio alla miglior minoranza?) viene elevato dal 15% al 18%. Infatti c’è un meccanismo perfido nel premio alla minoranza, che è tanto più elevato quanto minore è il consenso. La soglia in compenso che si ventilava nel 40% è scesa al 35%, per risalire al 37% nell’ultima versione. Gli errori di valutazione della portata dei vincoli della sentenza non sono di Renzi, ma dei suoi consulenti mentalmente prigionieri di un pensiero unico: un sistema elettorale non maggioritario e non bipolarizzante/bipartizzante è “un rigurgito proporzionalista”, cioè la causa di tutti i mali d’Italia, dalla criminalità organizzata alla corruzione, dall’evasione fiscale all’instabilità politica. Mal consigliato e in un contesto di tensioni ed attese, Renzi ha dovuto prendere l’iniziativa. Renzi ha un suo stile d’azione: non lo ha nascosto né al Partito, né al colto ed inclito, che lo hanno apprezzato e massicciamente votato.
A Renzi non piace la guerra di trincea di logoramento continuo senza che accada nulla: è un teorico, ma soprattutto un pratico della Blitzkrieg mediatica. Per combattere il pantano in cui tutto si ferma, una forte dose di convincimento e di forzatura ci vogliono. L’immobilismo del Parlamento, ma anche della magistratura, dopo gli avvertimenti contenuti nelle sentenze n. 15 e 16 del 2008 e ribaditi nella n. 13 del 2012 della Consulta, è stato tra le cause del distacco dell’opinione pubblica dalle istituzioni e in specie dai partiti. Per questo un’iniziativa forte era necessaria, ma è un errore riproporre una legge con gli stessi vizi di quella annullata dalla Corte Costituzionale. Il mix di soglie di accesso elevate (anche se, per amor di verità, inferiori a quelle del Senato della legge vigente per la coalizione, che dal 20 scende al 12%), premio di maggioranza consistente con soglia bassa di attribuzione e liste bloccate corre il rischio, come sottolineato da giuristi di sicura fede democratica (tra loro Gaetano Azzariti, Lanfranco Pace, Massimo Siclari e Luigi Ferrajoli) e dagli stessi avvocati dei ricorsi contro il Porcellum, di riportare la legge dinnanzi alla Corte Costituzionale con conseguenze, comunque, negative per il prestigio delle istituzioni: quale che sia l’esito, compreso quello che la Corte sotto pressioni politiche debba rimangiarsi i principi affermati nella sentenza n. 1/2014.
Bisogna dare atto che la presentazione al pubblico era migliore del contenuto del disegno di legge. La legge era definita come proporzionale con premio di maggioranza e con liste corte e contro il ricatto dei partitini. Nessun accenno è fatto a liste bloccate non amate dagli italiani, né è importante il fatto che quando c’è un premio di maggioranza la legge non è proporzionale. Gli italiani disprezzano i partiti, ma pare che addirittura odino i partitini. Una volta partiti con il 4,9% o il 7,9% non erano partitini, ma se devono rimanere in lizza per il ballottaggio solo due partiti, Pd e Forza Italia, una semplificazione si deve pur fare. La distorsione elettorale è accentuata dal fatto, che si danno tanti numeri, ma nessuno relativo alla percentuale di votanti: non è la stessa cosa in linea di fatto se il 53% dei seggi vada ad una forza del 35% con l’80% dei votanti o con il 60%... Resta a mio avviso la molto probabile incostituzionalità che il 65% dei voti sopra soglia si debba dividere appena il 47% dei seggi. Altro punto insuperabile di illegittimità costituzionale è che un premio di maggioranza nazionale produce un’assegnazione di seggi fuori dai collegi di candidatura e quindi viola il principio di voto personale e diretto. La soluzione per il riequilibrio di genere non sono rispettose dell’art. 51 Cost., con liste bloccate l’unica soluzione è l’alternanza di genere obbligatoria. La Corte Costituzionale è stata chiara: spetta al legislatore scegliere tra un sistema elettorale proporzionale, anche parziale, e un sistema maggioritario; la Costituzione consente sia l’uno che l’altro. Tuttavia, dice la Corte, se scegli il proporzionale devi essere coerente e quindi non sacrificare eccessivamente l’uguaglianza del voto in uscita e il carattere personale della scelta dei candidati. Se non vuoi le preferenze basta passare al collegio uninominale con o senza ballottaggio. Nel maggioritario non ci sono soglie di accesso e premi di maggioranza, ma per vincere occorre conquistare i collegi uno per uno, senza trucchi: è questo un rischio che i capi-partito non possono correre. Un collegio uninominale trascina con sé le primarie, perché con un solo candidato è più difficile imporre candidati paracadutati, che invece possono essere nascosti in terne o sestine.
Altri punti di sicura incostituzionalità, per violazione del principio d’uguaglianza del voto sono le soglie differenziate di accesso per i partiti coalizzati del 4,5% (perché non del 3,83%?) e in lista singola, inizialmente 8%, anche se destinata ad abbassarsi al 6/7%. L’altra assurdità è che un partito coalizzato del 4,49%, non elegge nessuno, ma i suoi voti sono conteggiati per un consistente premio di maggioranza a favore dei parti alleati sopra soglia: in un colpo si violano sia l’uguaglianza che la personalità del voto. Per i sostenitori del disegno di legge Renzi/Berlusconi si dovrebbe invece apprezzare la soglia del 37%, totalmente assente dal Porcellum e superiore al 25% della legge Acerbo: fascismo e democrazia non sono la stessa cosa!! D’accordo, ma non penso che si riduca a 12 punti percentuali in più, quando la prima soglia adottata a Costituzione vigente era del 50% + 1 voto. Nadia Urbinati ha sostenuto che l’essenza della democrazia rappresentativa non è il sistema elettorale, ma il dibattito pubblico che precede le decisioni. Forza Italicum è ormai la parola d’ordine dei media italiani, che per 5 anni hanno nascosto che ci fossero problemi di costituzionalità del Porcellum, come nascondono che davanti ai Tribunali di Napoli, Milano, Roma, Cagliari e Venezia penda l’impugnazione della legge elettorale italiana per le europee per contrasto con la Costituzione e i Trattati Europei.
Felice Besostri
Felice Besostri, del Gruppo di Volpedo, senatore DS nella XIII legislatura, è uno degli avvocati che ha sostenuto l’incostituzionalità della legge n. 270/2005 in Corte di Cassazione e Corte Costituzionale.