Campionato di calcio di serie B 1951-52, Piombino-Roma 3-1. La piccola città batte la capitale (per la prima e unica sua volta nella seconda divisione del football) o la provincia sconfigge l'impero. Fu l'apice di quella che era nata nel 1921 come Unione Sportiva Piombinese e che ora come Atletico Piombino milita nel torneo di Promozione. Alla fine di quella stagione il Piombino arrivò sesto, un risultato di tutto rispetto. Furono tre in totale i campionati disputati dall'équipe toscana fra i cadetti, poi la caduta o, meglio, un susseguirsi di discese, fino agli inferi della Seconda Categoria, e risalite.
Nerazzurri i colori del Piombino: neri come la notte, azzurri come il cielo. Nerazzurri come quelli da sempre indossati dall'Inter, in cui giocò da protagonista il piombinese Lido Vieri, classe 1939, un portiere di gran classe, prima al Toro del dopo Superga, poi alla Beneamata di Milano con la quale vinse lo scudetto Anno Domini 1971. E di Piombino era Aldo Agroppi, mediano del Torino e anche azzurro, giocatore di cuore e opinionista TV sanguigno, verace e onesto, forse troppo per l'ipocrita, talora, calcio nostrano.
Del luogo che fu pure Principato, della Piccola Populonia, della scaglia urbana che si protende nel Tirreno di fronte all'Elba e all'immenso blu, fra cielo e onde, della città che contiene nei suoi scrigni tesori quali la duecentesca Casa delle Bifore, la Concattedrale di Sant'Antimo, il Palazzo Comunale, la scenografia di Piazza Bovio et alia, è anche Gordiano Lupi, editore e scrittore di gran vaglia e talento, uno cui non fa certo difetto la facilità di scrittura e che, tuttavia, non è mai banale in ciò che concretizza e fa. Tutt'altro... Ne è prova e dimostrazione l'ultimo suo romanzo – il nostro spazia fra saggistica, narrativa, traduzioni e produzioni editoriali (con gran fiuto per la poesia ed estrema attenzione al tema dei diritti umani) – ossia Calcio e acciaio (pp. 196, Acar Edizioni, euro 12,50, 2014), sottotitolo Dimenticare Piombino. Ma dimenticare Piombino non si può... e Gordiano Lupi non lo fa confezionando una storia che è anche un genuino atto d'amore verso la propria città, di cui richiama situazioni emotive, siti e ricordi, dagli antichi e nostalgici riti dell'adolescenza, dalle fughe verso la spiaggia, alla durezza del lavoro nelle acciaierie, che stroncavano e, nel contempo, distribuivano occupazione nell'ambito della comunità. Dimenticare Piombino non è possibile neppure per Giovanni, il protagonista della vicenda, già calciatore di successo nell'Internazionale, partito dallo Stadio Magona per approdare al grande calcio e infine tornare, per amore e per scelta, ad allenare la squadra della sua città, quella degli esordi, quella del sentimento più profondo, quella delle radici.
Calcio e acciaio si dipana fra le urgenze e necessità del presente, stasi e stagnazioni comprese, e il carico dei ricordi, dolente e malinconico talvolta e talaltra rassicurante. C'è il centravanti marocchino Tarik, afflitto dalla nostalgia per la famiglia lontana, e Cinzia dalle occasioni perdute, il cinema Metropol e la poesia della ruggine dei cancelli del vecchio stadio, e ci sono le scogliere, il fumo, «gabbiani e colata continua, navi che attraversano il canale e finti tramonti dell'acciaieria», la calda frustata del vento, l'acqua che scivola sulla pelle al pari di impreviste memorie e scene ritornanti, i vuoti e i rimpianti, i gol fatti e quelli sbagliati, proprio come nella vita. «Pensieri che si rincorrono mentre lo scirocco devasta il promontorio. Soffia dal golfo di Follonica, investe Punta Falcone, lingua di diavolo adirato tra le scogliere. Giovanni scorge in lontananza lo sperone di roccia che ricorda la prua d'una nave. La scogliera impassibile di piazza Bovio, sconvolta dallo scirocco, come un volto invecchiato che sorride e dipinge visioni di case popolari affacciate sul mare. Giovanni si lascia spingere dal vento, scruta la quiete del borgo marinaro. Mentre il pensiero vola lontano, raccoglie il profumo del mirto e della felce, si posa sul lentisco e sui teneri cespugli di San Giuseppe. Sono le ferite del passato che non fanno dormire, gli anni lasciati al loro destino, le sconfitte. Quella di oggi non è la più bruciante, ma fa venire a galla le sconfitte di un'intera esistenza. Il calcio metafora della vita, vecchio discorso...» Un calciatore che pensa, ce n'è sempre bisogno.
Calcio e acciaio è un libro che piacerà a chi ama il calcio, ma non solo; sarà graditissimo a chi è di Piombino, ma non solo. Esso si muove fra più livelli, fra particolare e universale, fra locale e globale, in quell'intrico e intrigo che le nostre esistenze sono, pagine scritte e ancora e sempre da riempire, fra stupore e meraviglia, fra dedizione e rispetto.
Il volume è, inoltre, corredato da una serie di splendide foto in bianco e nero, opera di Riccardo, fratello di Gordiano. Ciminiere e fughe di nubi, pini marittimi e tramonti che accendono il cuore, vecchie case e verdi campi di gioco, polvere e scintillii, ombre e riflessi, geometrie architettoniche e profili di isole come volti perduti nella galleria del tempo, edifici industriali e onde...
«Un gabbiano ritardatario si ricongiunge col branco che sta volando sopra il mare, mentre la sirena dello stabilimento chiama gli operai al lavoro e apre il turno pomeridiano. Giovanni sa che le acciaierie sono in crisi, uomini e donne rischiano di restare senza lavoro, senza una speranza per il futuro, privi di quel posto fisso che è stato il sogno del nonno e del padre. Il mondo che il vecchio allenatore ha conosciuto sta scomparendo giorno dopo giorno. Il calcio è l'ultima certezza della sua vita, non è più il calcio che l'ha convinto a sfidare l'ignoto, ma in fondo la lotta domenicale è scontro fisico, agonismo, rabbia, persino commozione. Tutto questo fa parte della sua passione, immodificabile, eterna, indistruttibile, che l'ha portato a credere di poter continuare a sognare, proprio come diceva il nonno». Credere di poter continuare a sognare... la chiave di volta, forse, dei nostri giorni.
Alberto Figliolia