Ciascun detenuto deve disporre di almeno sette metri quadrati di “spazio vitale”. Lo ha stabilito pochi giorni fa il tribunale di Sorveglianza di Venezia accogliendo parzialmente i reclami di natura giurisdizionale che erano stati presentati da una quindicina di detenuti. Ma non è tutto. Già, perché se non si adeguerà alla misura prevista dall’ordinanza, il carcere del capoluogo veneto, Santa Maria Maggiore, dovrà risarcire personalmente ogni detenuto: cento euro a testa e al giorno. Non proprio bruscolini se si tiene conto che di carcerati lì ce ne sono 253 – per una capienza di 168 posti. Conti alla mano, e se tutti presentassero un reclamo del genere, in un anno il carcere dovrebbe pagare, solo di indennizzo ai propri detenuti, quasi un milione di euro di indennizzo ai detenuti.
Il pronunciamento in questione è previsto dal decreto svuota-carceri, quello per cui tanto ha fatto il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri e che è appena stato approvato dalla Camera. Di fronte all’inosservanza dell’amministrazione che arreca un “attuale e grave pregiudizio” nei confronti dei diritti dei detenuti, infatti, può adesso essere presentato un reclamo formale che (sommandosi a quello ordinario) aziona, automaticamente, il procedimento di fronte al tribunale di Sorveglianza. Cosa che hanno fatto i carcerati veneti denunciando la situazione di sovraffollamento nella prigione di Santa Maria Maggiore.
Per la verità i magistrati di Venezia non hanno fatto altro che recepire le disposizioni europee: è stato il Consiglio d’Europa, infatti, a garantire come soglia minima in una cella la superficie di 7 metri quadrati a persona. I giudici hanno invece respinto altre richieste sollevate dai detenuti, nello specifico: quelle relative all’illuminazione naturale, al bagno chiuso, alla possibilità di trascorrere otto ore fuori dalla cella. Ma in ogni caso con questa decisione si crea un precedente importante. Che potrebbe avere ricadute sul sistema carcerario – e dunque sulla finanza pubblica – non di poco conto.
Le carceri italiane sono quasi tutte fuori norma dal punto di vista del sovraffollamento. Basta citare a caso: nel luglio scorso la casa circondariale di Regina Coeli a Roma ospitava 1.250 detenuti a fronte di 750 posti previsti, la prigione napoletana di Poggioreale aveva registrato 2.640 detenuti contro una capienza regolamentare di 1.503 posti (ottobre 2013), mentre al carcere milanese di San Vittore le cose non vanno meglio: il posto per detenuto (aggiornato al novembre 2013) nella prigione più famosa del capoluogo lombardo è pari a un metro quadro.
Viene dunque spontaneo chiedersi quanto verrebbe a costare l’estensione di questo provvedimento veneziano al resto delle carceri italiane. Dare una stima certa è difficile, ma indovinare l’ordine delle cifre è facilmente intuitivo: parliamo di milioni. Milioni che si potrebbero risparmiare: adeguandosi alle indicazioni di Bruxelles che ricordano fin troppo spesso come le nostre prigioni violino i diritti dei carcerati (non ultima la sentenza Torreggiani con la quale la Cedu ha condannato l’Italia per il trattamento disumano e degradante riservato ai detenuti nelle nostre prigioni e che tra soli 103 giorni farà scattare l’ennesima mora).
Secondo il deputato Ncd Alessandro Pagano (interrogato sulla questione dal Fatto pochi giorni fa) quella che potrebbe diventare presto un’azione collettiva dei carcerati porterebbe a un esborso complessivo di 365 milioni di euro, ossia la stessa cifra stanziata per il piano carcerario: “Una follia per le casse dello Stato”. Vien da pensare che converrebbe buttar giù qualche muro in più.
Ma cosa succederà nello specifico a Venezia? Il Ministero ha 15 giorni per impugnare le ordinanze tramite l’Avvocatura dello Stato, altrimenti la decisione passerà in giudicato, come si dice, e l’amministrazione dovrà scegliere: o adeguare le celle o pagare l’indennizzo. Con una puntualizzazione da fare: il decreto svuota-carceri dice espressamente di essere “senza ulteriori spese a carico dell’amministrazione”. Insomma, il rischio (più che mai concreto) è che questa ordinanza rimanga inattuata.
Claudia Osmetti
(da Libero, 14 febbraio 2014)