Che Vincenzo Cardarelli fosse, come dice anche in una delle lettere che seguono, uomo di molti amori e di molte fortune amorose, sapevo abbastanza dalle confidenze che mi fece quando risiedette a Venezia per qualche anno. Certi suoi innamoramenti, e uno, improvviso, per una donna bellissima, lo resero celebre in tutto un quartiere. Non era un uomo da destar simpatie negli uomini, generalmente. Ma questa sua passione lo faceva guardare con invidia da popolani e borghesi. Dubito che se ne accorgesse: sprezzante com’era del volgo, che per lui comprendeva una parte assai grande del suo prossimo.
Seppi quanto egli apprezzasse mia cugina Mary Ottolenghi da lui stesso, uomo dedito agli abbandoni e pronto a confessarsi, come ebbi a dirgli in maniera forse crudele, fin troppo. Ma io ero allora, in quelli che ora si chiamano gli anni venti, che erano sul finire, molto giovane, spregiudicato, e dicevo il fatto suo o quello che tale mi pareva, anche a uno dei suoi maggiori amici ch’io abbia mai avuto.
Dubito assai che qualcuno possa far giustizia al conversare con Cardarelli che io giudico il più smagliante e fantasioso che si possa sperare d’udire. E non so come egli potesse parlare con una donna, quasi una bambina, come Maria: molto intelligente e sensibile e che sentiva l’interesse destato da lei in un uomo d’eccezione quale forse non doveva più tardi conoscere. Una lettera (bellissima come ricorda ora Maria) venne da lei restituita al poeta secondo il suggerimento di lui se tale lettera «non la interessava». Maria ci tiene a ricordare come fosse sua sorella Bice, finita ad Auschwitz, in un campo di eliminazione tedesco, a discorrere con Cardarelli della sua sorella minore.
“Un confetto rosa” ebbe a definire Bice il poeta. Io la ricordo appena e sul suo volto dolcissimo mi par sempre di vedere il segno rosso dell’infamia tedesca, come sul ritratto della Margherita goethiana l’altro segno che a volte mi pare di aver sognato.
«Quanto siano belle e femminilmente dolci e attraenti le donne veneziane io lo so bene» mi disse una volta Cardarelli dopo aver accennato a Maria. E quando seppe che ella era un poco mia parente (sua madre era prima cugina di mio padre) mi parve che la famosa ironia cardarelliana, della quale anch’io come tutti noi conoscenti ed amici portavo i segni, si raddolcisse in uno di quei buoni sorrisi che ricordavano il Cardarelli giovanissimo, il Cardarelli innamorato.
Una famiglia veneziana trasferita a San Remo. Il padre, antiquario che morirà presto, e la madre, tre fratelli: Achille che sarà avvocato, Bice, Maria: la piccola protagonista della storia. Con questa famiglia, come si vedrà dalle lettere, Cardarelli era dolce e umano; si sarebbe detto oblioso del gran conto ch’egli faceva di sé e quasi della professione sua di scrittore e poeta. Un Cardarelli umile e affettuoso. Non parole d’amore in questo epistolario. Un raccontarsi pieno d’affetto, ora sereno e ora con quei temporali che segnavano il corruccio,il malcontento, le tristezze del poeta. Credo anche sotto questo aspetto Cardarelli potrà interessare i suoi lettori. E Maria avrà, insieme al compiacimento che le dà il ricordo della consuetudine col grand’uomo che ebbe la ventura di conoscere, un poco di consolazione nell’inguaribile ricordo della morte orrenda della sorella amata.
La conversazione per lettera, ora quasi amorosa, ora da maestro a scolara verso la quale lo legava una particolare innocente simpatia non va più in là. Cardarelli sente bene i limiti che deve porre nel suo discorso scritto con Maria. Non abbiamo lettere di lei; ma è facile immaginarle dal tono di lui. Sono gli anni favolosi del primo dopoguerra. Cardarelli, malgrado l’esperienza che egli proclamava di avere, ha anche molto di un ingenuo ragazzo provinciale che non scorda la sua Tarquinia e la Venezia regale di Maria.
Ma l’amicizia, l’idillio, il continuare del rapporto epistolare per qualche anno: tutto è detto chiaramente in queste pagine, alle quali pare inutile aggiungere una parola in più.
Aldo Camerino (1966)