Diario di bordo
L’anno giudiziario che verrà. Claudia Osmetti intervista Rita Bernardini 
“Noi (radicali) ci stiamo preparando, e non è una novità”
09 Gennaio 2014
 

Quando ripresero le trasmissioni di Portobello, nel 1987, Enzo Tortora cominciò dicendo: “Dunque, dove eravamo rimasti?”. Sono passati quasi trent’anni, ma l’impressione è che siamo ancora fermi a quella domanda. Giustizia, carceri e referendum: nel Paese che s’indigna e poi dimentica con la stessa velocità con cui cambia governi parlare di amnistia è ancora difficile. Ma c’è chi da decenni ha fatto della battaglia per la giustizia giusta la bandiera di una vita. L’ex deputata e oggi segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini, ad esempio.

– Il sistema giustizia fa acqua da tutte le parti, eppure è impossibile metterci mano. Perché?

In Italia c’è un settore che, evidentemente, non può essere riformato: quello della giustizia. Il punto è chi lo rappresenta: si tratta dei poteri forti della magistratura che di riforme non riescono (o non vogliono) neanche parlare. Anche quando si tratta di riordini minimi, se sono legati alla giustizia, questi poteri si inalberano e così tutto si blocca.

– Cosa si può fare?

Bisognerebbe ridisegnare i rapporti di potere e la magistratura stessa. Quella italiana è una situazione singolare e il risultato di questo immobilismo è sotto gli occhi di tutti: alla fine non si riesce a fare niente. Quando è stata nominata la commissione dei Saggi per riformare in modo strutturale le nostre istituzioni, l’unico settore che è rimasto fuori dal riassetto è proprio quello della giustizia.

– Invece Papa Francesco in meno di un anno ha abolito l’ergastolo e introdotto il reato di tortura. Oggi i radicali hanno davvero più amici in Vaticano che in Italia?

Marco Pannella, non so quanto scherzando, ha detto più volte che sta pensando di chiedere la cittadinanza vaticana… Lo Stato del Vaticano è una monarchia assoluta governata oggi da un sovrano illuminato che è riuscito a fare delle riforme che noi in Italia ci sogniamo. Vent’anni fa, per fare un esempio, abbiamo firmato la convenzione contro la tortura: dovevamo implementare quell’impegno con una legge in materia. In Italia, chi tocca la “giustizia”, muore.

– A che livello?

L’ultima campagna referendaria è sintomatica. Abbiamo raccolto 420mila firme, di queste 150mila sono state praticamente cancellate. Il problema non è il consenso della gente comune, è a monte. Il Parlamento non rispetta la capacità legislativa dei cittadini che hanno, di base, due strumenti per far sentire la propria voce direttamente: le proposte di legge di iniziativa popolare e i referendum. Peccato che poi, una volta che questi arrivano ai piani alti della politica, siano costantemente disattesi.

– Ci si mettono anche i partiti, a volte. Il neo segretario del Pd Matteo Renzi è contrario all’amnistia, così come Alessia Morani, la nuova responsabile della giustizia dei democratici. Possibile che a sinistra parlare di carceri sia ancora un tabù?

Il punto è che non ci spiegano come fare. Intendo dire, Renzi è contrario all’amnistia. Va bene, è la sua posizione, non la condivido ma va bene. Però ci dica almeno come intende riformare lui questa giustizia, posto che le misure da noi proposte non gli vanno a genio. Amnistia e indulto incidono immediatamente sul “sovraffollamento” delle carceri e dei processi: fanno rientrare immediatamente il nostro Paese nella legalità costituzionale italiana ed europea ponendo fine a crimini orribili commessi per mano dello Stato e consentono quella riforma strutturale della giustizia fino ad oggi negata agli italiani nonostante referendum vinti e stravinti. Qual è l’alternativa del Pd?

– Forse non ne hanno una. Però magari qualcosa si è mosso con il ministro Cancellieri. Ad esempio è stato istituito il garante nazionale dei detenuti. Tu come lo vedi?

Io avevo proposto un disegno di legge nella scorsa legislatura proprio su questa figura. A mio avviso deve essere eletto dal Parlamento, l’incarico su nomina non mi sembra la soluzione migliore. E deve potersi coordinare con i garanti locali, anche perché sennò avrebbe poco senso. È ovvio che per fare questo servono fondi, la dicitura “senza ulteriori spese a carico dell’amministrazione” che si legge nel nuovo decreto legge sulle carceri non mi sembra molto funzionale. Ormai qualsiasi legge porta la dicitura “senza ulteriori oneri…”. Il decreto in discussione, per esempio, stabilisce che i detenuti tossicodipendenti, anche recidivi, debbano andare in comunità anziché in carcere… con il “piccolo” problema che i posti in comunità non ci sono e non si stanzia nemmeno un euro per incrementarli.

– Il prossimo appuntamento è per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Cosa succederà?

La cerimonia di apertura dell’anno giudiziario in Cassazione è fissata per il 24 gennaio. Sarà presente anche il primo presidente della Corte Giorgio Santacroce che, cito testualmente dal comunicato stampa, «indicherà i possibili rimedi per una situazione di cronico ritardo e inadeguatezza agli standard europei in vista della deadline di metà maggio, quando l’Italia dovrà aver risolto l’emergenza carceri per non incorrere nelle multe di Bruxelles». Ci sarà da divertirsi, se non ci fosse da piangere.

– In che senso?

Promettono risposte sulla sentenza Torreggiani con la quale la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per il trattamento disumano e degradante riservato ai detenuti nelle nostre prigioni. Ma avrebbero dovuto farlo loro da anni senza aspettare l’umiliazione della condanna europea! E poi mettono tutto sotto il profilo economico, parlano delle multe di Bruxelles, dimenticando che stiamo parlando di esseri umani trattati peggio dei polli o dei maiali: un sistema il nostro che in Europa ci dovrebbe far vergognare prima ancora di pensare al portafoglio…

– Sono previste manifestazioni solo a Roma?

L’idea è quella di essere presenti in tutte le Corti d’Appello il 25 gennaio, quando l’anno giudiziario verrà inaugurato anche in sede regionale. Ci saremo sia dentro il palazzo (con qualche nostro delegato che prenderà parola e spiegherà le ragioni di quella riforma che oramai chiediamo da decenni) sia fuori, con tutti quelli che vorranno unirsi ai radicali, ai familiari dei detenuti, agli avvocati dell’Ucpi, al personale penitenziario tutto, umiliato nella quotidianità della vita illegale dietro le sbarre.

 

Claudia Osmetti

(da Radicalweb, 9 gennaio 2014)


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