ROMA – Le parole che nessuno aveva mai osato dire, le ha pronunciate una recluta del Consiglio comunale di Roma. «A me personalmente è stato chiesto di indicare le destinazioni per una somma di 5o mila euro. Ritengo assolutamente inaccettabile usare le risorse pubbliche in tale modo. A questa cosa mi opporrò strenuamente: giustificarla, com’è accaduto, sostenendo che si è sempre fatto così, non fa parte delle motivazioni espresse in una campagna elettorale basata al contrario su principi di legalità e trasparenza». Autore della dichiarazione, resa durante la riunione della maggioranza che sostiene Ignazio Marino, convocata il 26 novembre per discutere del bilancio di previsione 2013 del Campidoglio, il consigliere radicale neoeletto Riccardo Magi. Inutile aggiungere che dopo una simile bordata, mentre il sindaco guadagnava rapido l’uscita provvidenzialmente chiamato ad assolvere l’impegno istituzionale della stretta di mano all’argentina Estela Barnes de Carlotto, la leader delle nonne di Plaza de Mayo cui era stata appena conferita la cittadinanza onoraria, l’imbarazzo si tagliava con il coltello.
Nonostante i propositi di sobrietà e rigore, ecco di nuovo il fantasma della cosiddetta «manovra d’aula». E la faccenda, ora, si fa particolarmente pelosa. Perché a impegnare qualche milione per soddisfare le richieste personali dei politici, mentre il Comune di Roma è alle prese con problemi finanziari enormi, le voragini delle municipalizzate e il rischio di dover aumentare ancora le tasse, ci vuole davvero un bel fegato. Per capirci, la manovra d’aula è quel meccanismo grazie al quale i singoli consiglieri comunali possono distribuire denari ai propri collegi elettorali. Un obolo ragguardevole, che ha raggiunto l’ultima volta le dimensioni di 15 milioni. E anche se ora, complice la riduzione del numero dei consiglieri (da 6o a 48), calerà forse a una decina di milioni, resta pur sempre uno schiaffo alla città delle strade piene di buche, degli autobus che non vanno, del traffico infernale. Ogni consigliere ha una somma stabilita a disposizione e può indicarne la destinazione a proprio piacimento. I denari prendono la forma di erogazioni ad associazioni, contributi per manifestazioni, finanziamenti a progetti. Spesso le cose più surreali. Tipo quella campagna d’informazione sugli escrementi canini a villa Borghese che su richiesta di un singolo consigliere comunale l’assessorato alla Cultura (alla Cultura!) di Roma avrebbe dovuto finanziare: per la modica cifra di 120 mila euro. O quel premio Ostia organizzato con 15 mila euro dei contribuenti (poi per fortuna revocati), dove il premiato era un certo Licio Gelli. Quando non addirittura finanziamenti per manifestazioni in teatri che quel giorno risultavano chiusi. Si tratta della copia in scala ridotta, ma forse anche peggiore, della famosa «legge Mancia», la norma in base alla quale i singoli parlamentari distribuivano annualmente ai propri «territori» fino a 160 milioni. Modello subito replicato da alcune Regioni, fra cui la Regione Lazio: in cui la quota procapite attribuita a ogni consigliere aveva raggiunto in passato gli 800 mila euro. E anche da molte amministrazioni comunali nelle quali le manovre d’aula, nate con la motivazione di dare un po’ di biada all’opposizione per tenere a bada l’ostruzionismo, hanno finito per coinvolgere tutti indifferentemente, con un «tariffario» variabile a seconda del potere dei singoli consiglieri.
Una evoluzione del finanziamento pubblico di una politica sempre più ingorda, che non di rado serve a coprire i buchi delle campagne elettorali dei singoli. Non si spiegherebbero diversamente spese allucinanti, anche superiori a 200 mila euro, per conquistare una poltrona in consiglio comunale che garantisce al massimo 1.5oo euro al mese. Questa volta, però, c’è un serio contrattempo. L’assessore al Bilancio Daniela Morgante, già piuttosto in rotta con la giunta, non ci sente da quell’orecchio. Cosciente che se si sbraga una volta, si dovrà poi sbragare sempre. E vaglielo a spiegare ai romani che anche per questo dovranno sopportare nuovi rincari dell’addizionale Irpef. Di solito funzionava così: sentite le richieste dei consiglieri, i suoi predecessori preparavano un maxiemendamento al bilancio che destinava ai vari settori somme aggiuntive per spese «inderogabili». Approvato di regola all’unanimità. I denari arrivavano poi agli assessorati accompagnati da elenchi, post-it e letterine con su scritte le cifre e i destinatari. E si pagava senza discutere. Stavolta, invece, la sospirata manovra d’aula si farà al buio, senza emendamento della giunta. Stavolta ci dovranno mettere la faccia i consiglieri. Fra i 13o mila (centotrentamila) emendamenti che si sono riversati dal consiglio su un bilancio di previsione da approvare quando manca soltanto un mese alla fine dell’anno, ci sarà dunque anche l’emendamento «mancia». Con tutti i rischi del caso. Come sa bene il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, alle prese con un provvedimento che mira a tagliare le società regionali riducendo da 88 a 13 il numero delle poltrone, sorprendentemente sommerso da mille emendamenti del Movimento 5 Stelle. E non è un caso che già venga data per conclusa la breve esperienza di Daniela Morgante: sono strappi che si pagano. A sinistra, come a destra. Per capire cosa succede a chi si mette di traverso basta leggere il libro che Umberto Croppi, ex assessore della giunta di Gianni Alemanno anche per la sua intransigenza di fronte a certe richieste di consiglieri influenti, ha scritto con Giuliano Compagno. L’ha intitolato Romanzo comunale…
Sergio Rizzo
(da Corriere della Sera, 30 novembre 2013)
»» Dichiarazioni di Magi e replica della Maggioranza sul Corriere della Sera di oggi, pagine di Roma