Lisistrata
Lidia Menapace. Lotta contro la povertà
14 Novembre 2013
 

Un economista, professore presso l’Università cattolica di Milano, annuncia la costituzione di un movimento di tal nome, che offre –se ho ben capito– al governo Letta.

Fuori discussione la giustezza dell’obbiettivo indicato. Fuori discussione pure la esigenza di allargare la partecipazione a tal movimento oltre lo spazio indicato. Probabile avvio di qualcosa di molto organizzato, come sempre quando di tratta di cattolici.

Il titolo del movimento offre molti spunti, e provo ad enunciarne alcuni, a cominciare da quelli insiti nella condizione dei e delle migranti, per i e le quali la povertà estrema è un dato di partenza e un accompagnamento continuo. E pure una meta finale, se il succo della politica europea dovesse limitarsi a salvataggi in mare, seguiti da collocamento presso un transitorio luogo di sosta, mentre si esaminano condizioni documenti esigenze dei salvati. Ma se –dopo tutto– la Marina dovesse trovare che si tratta di persone non solo povere, ma anche scarsamente documentate, si passerebbe al loro rientro forzato ai luoghi di partenza, escluso per coloro per cui ricorrono le ragioni del rifugio politico. Un enorme carrozzone burocratico senza costrutto né risultati significativi. Potremmo credere da bravi cristiani che, ammucchiando tutto ciò che è per noi superfluo e cercando che sia in buone condizioni, distribuirlo ai poveri possa essere detto lotta contro la povertà.

Invece non lo sarebbe, nemmeno per la morale cattolica. E per la morale laica sarebbe un ritorno a una società e a uno stato assistenziale invece di mantenere ferme le norme dello stato sociale. Che è fondato sulla affermazione che vivere mangiare abitare lavorare stare in buona salute andare a scuola ecc. ecc. sono “diritti comuni”, non area per investire il superfluo di alcuni.

Insomma, come si dice nel catechismo la carità non può crescere sull’ingiustizia, né ripararla, la carità viene dopo la giustizia. Altrimenti può succedere qualcosa di simile alla riforma Sacconi del diritto del lavoro. Quando fu gabellata per “modernità” un vero e proprio ritorno al feudalesimo. Le corporazioni con arbitrato obbligatorio, invece dei sindacati con potere contrattuale. Oppure le offerte, i permille, i doni che costruiscono relazioni dipendenti e con obbligo di riconoscenza, una società ineguale, di sudditi e di potenti dal cuore buono.

Poiché è giusto e utile collaborare con cattolici evangelici cristiani d’ogni specie islamici ebrei buddisti ecc. e nei paesi poveri d’Africa Asia e America latina con i missionari è molto importante tenere fermo che prima di tutto viene la giustizia e che nulla di umano può essere costruito se non dopo averla stabilita.

 

Lidia Menapace


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