Oblò cubano
Rafael Alcides. Misericordia
02 Novembre 2013
 


Misericordia

 

¿De dónde viene, quién lo manda, qué busca

entre nosotros este viento con olor a presidio

y a cementerio, a ceniza de hospitales

y a miseria? Retírate, oh viento de la desgracia,

respeta mis cuadros, mi lámpara, mis papeles,

deja en paz mis cacharros de cocina.

Pero él no oye, no escucha.

Míralo, Señor, sacar el mar del mar

y traerlo a la puerta de mi casa.

Míralo hacer y deshacer como si él fuera el sol,

las cuatro estaciones, la rosa de los vientos,

la razón de las cosechas, la verdad íntima de los mundos.

A la luz del rayo y la centella,

míralo levantar el tejado de enfrente,

luego un árbol que resistía en la acera

ahí va un tendido eléctrico seguido por dos hojas

de zinc girando como hélices funestas,

como guillotinas monstruosas buscando cabezas.

Ya no queda ni una puerta ni una ventana.

Más que tarea de salvamento,

echar un bote a la calle en estas circunstancias

sería un suicidio. ¿Y quién, por otro lado,

pensaría en salir a rescatar a otros

estando él mismo por ser rescatado? Y sigue

el mar subiendo de nivel, Señor, y sigue

el cielo oscureciéndose.

Deténte, oh viento canalla; atrás, perverso.

Esta es la casa del Poeta,

no la subestimes, ni convoques la ira

de ese ser que tan solitario y frágil parece.

(Para que jamás bajo el cielo tuviera lugar el olvido

creo Dios al Poeta, no lo olvides, ni olvides

que el Poeta habla con Dios, y Dios

pensativo lo escucha.)

Deténlo,

no le permitas, oh Señor, completar el desastre:

no le permitas arrancar la casa del Poeta

y dejarla a la deriva en la corriente

como los barcos del que huye, del que se marcha

clandestino. Igual que trigo o tabaco en gavilla,

utilizando sábanas y toallas enrolladas

ya ha comenzado el Poeta a atarse con su mujer

y sus hijos, y bajo el ruido devastador

y el crujir del techo, seguimos en este pueblo,

oh Señor, aguardando por ti:

atrapados, incomunicados,

sin teléfono, sin luz…

 

Rafael Alcides

 

 

 

Misericordia

di Rafael Alcides

 

Da dove viene, chi lo manda, che cosa cerca

tra di noi questo vento che profuma di presidio

e di cimitero, di cenere di ospedali

e di miseria? Ritirati, o vento della disgrazia,

rispetta i miei quadri, la mia lampada, le mie carte,

lascia in pace le mie stoviglie di cucina.

Ma lui non sente, non ascolta.

Guardalo, Signore, tirare fuori il mare dal mare

e condurlo alla porta della mia casa.

Guardalo fare e disfare come se fosse il sole,

le quattro stagioni, la rosa dei venti,

la ragione dei raccolti, l’intima verità dei mondi.

Alla luce del raggio e della scintilla,

guardalo sollevare il tetto di fronte,

quindi un albero che resisteva sul marciapiede

poi un filo elettrico seguito da due foglie

di zinco che girano come eliche funeste,

come ghigliottine mostruose in cerca di teste.

Non resta una sola porta né una finestra.

Più che un tentativo di salvezza,

lanciare una scialuppa per strada in queste circostanze

sarebbe un suicidio. E chi, d’altra parte,

penserebbe di uscire a liberare gli altri

se lui stesso deve essere liberato? E continua

il mare a salire di livello, Signore, e continua

il cielo a farsi più scuro.

Fermati, oh vento canaglia; indietreggia, perverso.

Questa è la casa del Poeta,

non la sottovalutare, non sfidare l’ira

di un essere che sembra così solitario e fragile.

(Perché mai sotto il cielo trovasse dimora l’oblio

creò Dio il Poeta, non lo dimenticare, non dimenticare

che il Poeta parla con Dio, e Dio

pensieroso lo ascolta.)

Fermalo,

non gli permettere, oh Signore, di completare il disastro:

non gli permettere di portare via la casa del Poeta

e abbandonarla alla deriva della corrente

come le imbarcazioni di chi fugge, di chi va via

clandestino. Come grano o tabacco in fascine,

usando lenzuoli o asciugamani arrotolati

il Poeta ha già cominciato a legarsi con la sua donna

e i suoi figli, e sotto il rumore devastatore

e lo scricchiolare del tetto, proseguiamo in questo paese,

oh Signore, confidando in te:

prigionieri, isolati,

senza telefono, senza luce…

 

Traduzione di Gordiano Lupi


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