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«Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più stronzo del reame?»
Ci sono molte cose che non mi piacciono del mio corpo.
So che mi stai ascoltando. Me lo ricordo bene che sono creatura perché è difficile lavorare sempre al buio.
Guardo ancora lo specchio e vedo il mio alone aureo e mi chiedo perché esistono gli aghi, questi bastardi che violentano la tua pelle. È così difficile inventare una siringa con un ago che non fori la pelle? Eppure avete inventato tanta merda: la plastica, le centrali nucleari, i supermercati, gli allevamenti di polli.
È così difficile inventare una siringa con un ago che non fori la pelle?
Allora mi rendo conto che sono felice che siete lontani da me, che la vegetazione invade quasi tutto il mio spazio vitale, che quando annaffio il mio geranio lo sento ringraziarmi perché vive grazie a me.
Mmm… forse è arrivato il momento di accorciarmi la barba.
E mi chiedo a cosa serve la mia mano. Ad accarezzare i bambini o a schiaffeggiare gli stronzi? E poi penso alle fabbriche di armi, ai centri commerciali, al caffè servito nei bicchieri di plastica. E penso ai cataloghi, ai nonni abbandonati, alle farfalle che non ci sono più.
So che mi stai ascoltando… Poi quel virus l’ho vinto. È stato come battere un nemico più forte che proprio perché sa di esserlo si perde nella sua superbia e si espone agli stratagemmi di chi ha solo la disperazione dalla sua. Ed io ho fatto così. Ho dato voce alla mia disperazione e l’ho sconfitto col pensiero. E quello l’ha smesso di attaccarmi perché il mio pensiero era un’arma che non aveva previsto. Il mio pensiero inferocito ne ha fatto poltiglia. Ripassa un’altra volta stronzo di un virus, gli ho detto.
Sento la mia energia sempre più debole e un terremoto interno che mi sta devastando, ma ho ancora il mio pensiero che mi fa da parafulmine. Rimango nell’attesa di ulteriori sviluppi.
Torno a guardarmi allo specchio e mi vedo un po’ più bello.
So che mi stai ascoltando… E allora ti chiedo perché stai a chattare quattro ore al giorno al computer di casa tua.
Il tuo sorriso non mi ha convinto, secondo me stai diventando paraplegico nel cervello. Ma scendi in strada, innamorati, abbraccia le persone. Fai ciò che io non riesco a fare. Esci di casa perfino allegro se ci riesci e poni fine a questo strazio.
Sono almeno cinque anni che non prendo la febbre. Sarà grazie ai miei piccioni del parco. Quando do loro le molliche di pane mi fanno l’inchino e tengono lontana da me la febbre. Ed io raccolgo le loro uova e le conservo. Scrivo sopra la data per vedere quanto tempo ci stanno a marcire. E poi me li sogno spesso i miei piccioni.
So che mi stai ascoltando… Forse ha ragione il mio amico Valter: è tutta colpa dei giudici, o delle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
Facile parlare… Opportuno parlare… Inevitabile parlare… Inevitabile, tanto quanto ci siano al mondo dei disperati e dei perfidi. Ne parleremo allora.
Forse ha ragione il mio amico Valter: gli alieni buoni non ne possono più di noi e gli alieni cattivi pensano a modificarci geneticamente in peggio. Valter dice che se non la smettiamo immediatamente, rimarremo schiacciati dai tumori dell’anima. Forse ha ragione il mio amico Valter.
Sono un po’ stanco adesso. Potrei andare a dormire sotto il letto, oppure sdraiarmi fuori, davanti alla casa, ma non sopporterei quella gente insolente che ti guarda come un pazzo solo perché dormi davanti casa tua. Che idioti! Che superficiali! Non hanno capito che il senso della vita è il sorriso di chi ti ama o le fusa del tuo gatto. E non l’ho capito nemmeno io, perché non mi ama nessuno e perché non ho un gatto.
So che mi stai ascoltando… Ma dovrai vedertela con il mio folletto protettivo che, anche se a volte mi fa i dispetti, ha giurato davanti al gran consiglio di proteggermi per sempre. È bello quando insieme ci fermiamo a guardare la luna che, come la camomilla, ha su di noi effetti diuretici e soporiferi. Sempre meglio che prendere quelle bastarde pillole rosa che mi fanno dormire e vomitare. Sempre meglio che far finta di non star male da morire. Sempre meglio che raccontare agli angeli che tu fai tutto ciò che vuole Dio. Che ne sanno loro di Dio?
Che ne sanno loro di Dio? Io lo conosco bene. Ogni tanto andiamo insieme a passeggiare sulla spiaggia, di notte, e ci fumiamo una sigaretta. Dio tossisce molto, chissà quante ne fuma.
Che ne sanno loro di Dio? Io ogni tanto lo seguo, a distanza per non farmi vedere. Ho scoperto che la sigaretta non la fuma solo con me. Va a fumarsela anche con Greta, quella che per pochi euro ti vende il suo corpo. Quando Dio va da lei, le accarezza il volto e le dice: Quanto sei bella Greta! E Greta, ogni volta, si mette a piangere, perché che è bella non glielo dice mai nessuno. Poi, Dio le asciuga le lacrime con la sua lunga barba e le offre una sigaretta. E fumano. E Greta, solo per il tempo di quella sigaretta, è felice.
Che ne sanno loro di Dio?