In tutta libertà
Gordiano Lupi. La película de Ana (2012) di Daniel Díaz Torres
25 Settembre 2013
 

Regia: Daniel Díaz Torres. Soggetto: Tamara Morales. Sceneggiatura: Eduardo Del Llano, Daniel Díaz Torres. Fotografia. Raúl Pérez Ureta. Montaggio: Manuel Iglesias. Musica: Lucía Huergo. Suono: Esteban Vázquez, Osmany Olivare. Scenografia: Aramís Balebona. Costumi: Alicia Arteaga. Trucco: Magdalena Alvarez. Effetti Speciali: Reynier Cepero Perez. Produzione: Daniel Díaz Ravelo per ICAIC (Cuba). Altri produttori: SK Films, Jaguar Films S.A., Ibermedia. Distribuzione: ICAIC (Cuba). Durata: 100’. Genere: Commedia. Interpreti: Laura de la Uz, Yuliet Cruz, Tomás Cao, Michel Ostrowski, Tobias Langhoff, Blanca Rosa Blanco, Paula Ali, Yerlin Perez, Rodolfo Faxas, Enrique Molina. Premi: Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano 2012: Miglior Interpretazione Femminile, Miglior Sceneggiatura, Miglior Distribuzione in Latinoamerica, Premio del Circolo di Cultura della UPEC.

 

Ana (Laura de la Uz) è un’attrice di scarso successo e di modeste possibilità economiche che si adatta a lavorare per modeste produzioni televisive. Per un caso del destino si presenta l’opportunità non solo di recitare la parte di una jinetera (prostituta per turisti, una sorta di escort cubana) in un documentario tedesco, ma anche di girare buona parte del lavoro all’interno del povero quartiere in cui vive. Ana filma un vero e proprio reportage all’interno del mondo della prostituzione, scavando sulle motivazioni profonde, mettendo in luce mancanze e ristrettezze del periodo speciale. Si scopre grande attrice, al punto di affermare che la parte della jinetera è il miglior ruolo della sua vita, ma anche ottima regista, superando il marito che sogna il successo girando cinema surreale. Il film di Ana è realistico e crudo, mette in primo piano la vita quotidiana di una Cuba in ginocchio per colpa di embargo, restrizioni e scelte sbagliate del governo. La storia assume aspetti melodrammatici e sentimentali, quando vediamo l’amore del regista tedesco per Ana e la rabbia del produttore raggirato dalla furba cubana che non ha filmato cinema verità, ma si è limitata a far recitare amici e conoscenti.

Daniel Díaz Torres, scomparso il 16 settembre 2013, ci lascia il suo testamento spirituale, girando forse il suo primo film realistico, ispirato alla lezione della miglior commedia latinoamericana ma anche al neorealismo italiano di Zavattini e De Sica.

La pelicula de Ana è cinema nel cinema, i protagonisti sono una coppia che vive nel mondo della celluloide: la moglie è attrice, il marito un regista in crisi di ispirazione. Operazione di metacinema in più parti, quando la troupe tedesca filma l’intervista alla finta jinetera interpretata da Ana, istruita da un’amica che fa la vita, ma anche quando il regista indugia su sequenze di telenovelas e riprende una sala montaggio improvvisata in un appartamento.

Il realismo delle situazioni è sottolineato da un scelta linguistica ben precisa: i protagonisti cubani non parlano castigliano, ma avanero de barrio, uno slang poco comprensibile per un orecchio non allenato. Laura de la Uz è interprete straordinaria che raffigura l’orgoglio della donna cubana, indomita e battagliera, disposta a tutto pur di risolvere le situazioni difficili. Non ha bisogno di un uomo, che comunque è al suo fianco, sa fare senza di lui, è un’attrice che s’improvvisa regista e risulta migliore del maestro. La vita quotidiana è sempre in primo piano: storie di liti tra vicini, parenti che vivono all’estero e tornano in patria a fare gli spacconi, ragazzine che fanno la vita per campare, giovani donne sposate con stranieri brutti e vecchi pur di fuggire. Vediamo un’amica jinetera che vive in un quartiere poverissimo, ma la sua casa è ben arredata ed è zeppa di souvenir europei perché è stata sposata con un tedesco. Al contrario, Ana, attrice in televisione, con il misero stipendio non riesce neppure a comprare un frigorifero. Sono le incredibili contraddizioni della società cubana.

Daniel Díaz Torres e lo sceneggiatore Eduardo del Llano compongono un affresco veritiero della Cuba quotidiana, senza dare giudizi moralistici, senza prendere posizione, ma solo facendo parlare le immagini, documentando la realtà. Il film è un coacervo di generi, la commedia si lascia contaminare dal realismo drammatico, dal sentimentalismo, da un pizzico di erotismo e dal crudo documentario. Il regista riprende con dovizia di particolari la vita di un quartiere della capitale: il ballo all’aperto, la caldosa (un minestrone saporito) cucinata per le feste del CDR (Comitato di Difesa della Rivoluzione), i palazzi cadenti, lo spettacolo del lungomare che lascia debordare le acque sulla lunga carreggiata. Un poetico finale suggella una pellicola che rappresenta bene la poetica di un regista scomparso troppo presto. Fotografia anticata, luce ocra color pastello, una macchina corre sul Malecón, qualcuno grida frasi sconvenienti ad Ana, che prima alza il dito indice della mano sinistra, poi piega il pollice come a indicare libertà, quindi fa il solito gesto con la mano destra e compone una macchina da presa surreale con la quale sogna di filmare la scena. Ana ha deciso il suo futuro, mentre alle sue spalle compare la bandiera cubana e si vedono due bambini, speranza per un futuro migliore.

 

Gordiano Lupi

 

 

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