«Il fatto è che quando sei in studio con Manfred Eicher non è disco solo, è un duo. È uno dei pochi produttori del jazz che davvero c’è, e non ti dice cose generiche tipo “buona la prima”, “meglio se accorci”, “falla più veloce” – no, interviene proprio. Smat Smat è stata un’esperienza tutta diversa, lì il produttore ero io. Qui ho avuto un interlocutore, e mi ha fatto piacere che per una volta non fosse un musicista. Detto questo, però, non pensare che ci siamo messi a tavolino e il repertorio lo abbiamo messo su discutendo.
«L’album in origine doveva essere tutto diverso, mi ero immaginato un omaggio a Prokofiev, avevo creato una gabbia mostruosa. Settimane di lavoro indefesso a studiare, preparare, decidere cosa suonare di Prokofiev da spartito e dove improvvisare. E poi, arrivato al dunque, mi sono detto: ma perché? Perché devo sempre mettermi in gabbie più grosse di quelle che il pianista Bollani sopporta? Così ho cambiato la scaletta e ho scelto i pezzi che mi venivano. Ho tenuto un’improvvisazione su un tema di Prokofiev, ne ho aggiunte altre mie. Ho preso A Media Luz, e poi Maple Leaf Rag, e nota bene che in mille dischi ECM questa è la prima volta che passa un ragtime. Io suonavo, suonavo ed Eicher lo scopriva strada facendo, certe volte proprio lo ha scoperto alla fine, come nel caso del pezzo di Brian Wilson. Gli è piaciuto, è andata bene così». (tratto dall'intervista di Riccardo Bertoncelli)
In queste poche righe già c'è l'anamnesi completa di quello che è possibile ascoltare acquistando il disco di Bollani. Rimangono da sottolineare alcune cose, semplici e significative: la musica sgorga densa e ricca di rimandi, richiede più letture e coinvolge universi musicali disparati ed apparentemente inconciliabili. Invece, sotto le sapienti dita di Stefano, il tutto acquista una dimensione omogenea. Prokofiev, il tango, il ragtime, i Beach Boys, i pezzi originali, tutto viene introiettato, metabolizzato e restituito all'ascoltatore senza stridori stilistici evidenti. In questo, come dicevo in un post precedente, Bollani mi ricorda la enorme capacità tipica del pianista francese Martial Solal di destrutturare, spezzettare per poi ricomporre qualsiasi brano con una fantasia ed una visione assolutamente personali ed incredibili.
La registrazione del disco è avvenuta a Lugano più di un anno fa, e questo fatto, unito alla camaleontica capacità di variazione del pianista fa sì che questo album sia solo una fotografia istantanea di quel momento. Probabilmente oggi Bollani in un concerto solo suonerebbe altri brani e in modi differenti. Il disco si differenzia anche per una marcata ricerca introspettiva, evitando quelle esuberanze (ogni tanto anche un po' gigionesche) tipiche del personaggio. Lavoro di grande qualità dunque, al quale non attribuisco il massimo dei voti solo perché credo che Stefano sia in grado di dare ancora di più, forse proprio non rinunciando completamente come qui avviene, alla sua dimensione ludica e giocosa.
Roberto Dell'Ava
VALUTAZIONE : * * * *