Lo scaffale di Tellus
Anticipazioni: Lucia Genga. La ballata di Corinna 
La prefazione di Beppino Englaro
09 Settembre 2013
 

   

Lucia Genga

La ballata di Corinna

Prefazione di Beppino Englaro

Booksalad, 2013, pagg. 190, € 14,00

 

Il volume, in libreria dal 15, verrà presentato al “Festival dell'Autobiografia” di Anghiari il 22 Settembre alle ore 11 presso il Teatro Comunale di Anghiari

 

Ho incontrato personalmente Lucia solo una volta a Spoleto il 6 novembre 2012 durante un convegno “La vita racconta: dalle storie la cura. La medicina narrativa nelle cure di fine vita” al quale partecipavo per la vicenda di Eluana. Mi ricordo che era una “giornata no”: mi sentivo molto male ed ero distrutto. Mente stavo andando all’aperto per prendere una boccata d’aria una signora distinta si avvicinò per salutarmi con grande gentilezza. Oltre al saluto mi consegnò un libretto di poesie firmato dalla figlia Corinna con dentro due fogli dattiloscritti, riferendomi di un singolare intreccio di date di nascita e morte di Corinna e di mia figlia Eluana ed altre similitudini che avrei potuto cogliere nello scritto. Per le mie precarie condizioni fisiche e psichiche di quel giorno intuii solo inconsciamente il dolore compresso nei modi pacati di Lucia e nel suo sguardo acuto e non andai oltre l’ascolto congedandomi semplicemente con un grazie per il dono.

Solo nell’aprile 2013 attraverso l’amico Francesco Moroni di Foligno ripresi contatto con Lucia che voleva parlarmi. La conversazione telefonica che seguì mi sorprese non poco. Mi informò di un suo libro autobiografico scritto fino ad un certo punto a quattro mani con Corinna e sottolineò che sarei stata la persona più adatta a firmarne la prefazione. Nei giorni seguenti ricevetti la copia del libro. La sua lettura, assieme al libretto di poesie di Corinna e ai due fogli dattiloscritti, andarono a segno. Ci fu un’altra telefonata con Lucia dalla quale rimasi ulteriormente sconvolto. Aveva semplicemente delle marce in più. Non mi restò che chiederle tempo per ritrovare l’equilibrio e concordare un incontro successivo per dialogare prima di scrivere la prefazione. La sorte non me lo ha più consentito. Un vuoto che mi ha lasciato e continua a lasciarmi esterrefatto e che ho potuto colmare solo in parte andando fisicamente dove Lucia ha vissuto, incontrando le persone che le hanno voluto bene e che lei ha amato, cercando di capire che cosa l’aveva spinta a coinvolgersi in tante iniziative per la sua città e, dunque, per gli altri. Una ricchezza inesauribile, un’energia a 360 gradi, un desiderio di accettare fino in fondo anche le sfide più difficili come quella di raccontare la propria vita nell’ambito del laboratorio di scrittura fondato a Foligno con la sua amica Anna Cappelletti che indagava l’universo delle donne che erano state giovani negli anni ’60-’70. L’idea era quella – come scrisse in un suo discorso del 20 maggio 2010 – di “ricucire una memoria, un passato, riempire di storie e di senso la trincea che la nostra generazione ha lasciato dietro di sé, pressata dalla fatica del vivere”. E la vita di Lucia è stata ricca di memoria e di significato. Nata a Roma negli anni caldi della contestazione giovanile frequenta il mitico liceo Giulio Cesare e affronta con l’ingenuità e la spensieratezza dei 20 anni la sua prima gravidanza e la nascita di Corinna, la bambina della quale i medici fin dal primo giorno si limitano a dire “che è malata e che non esiste cura”. Un verdetto che suona senza speranza e non le dà scelta: non può arrendersi. Del resto come sarebbe stato possibile? “Corinna era bellissima – scrive Lucia ricordando il giorno del parto – un batuffolo paonazzo che sembrava guardarmi con interesse: mi catturò la sua fragilità e il suo aspetto tenero e da quel momento fui sua”. I pianti silenziosi, la rabbia trattenuta, lo sconforto e l’immediata percezione del dramma della vita reale così differente dai sogni di una giovane donna, non muteranno mai l’intensità di quel legame che può al più sfilacciarsi ma mai rompersi.

La vita di Lucia e di Corinna sarà fatta di peregrinazioni negli ospedali di mezza Europa, verrà impregnata di “odore di pipì” che satura le narici e i pori, una sorta di “chimica interna” che connota ogni individuo e la sua salute, “il sentore forte – scrive Lucia – e oleoso dell’urina infetta, l’odore acido e penetrante dell’urina concentrata, durante l’emodialisi, l’odore naturale e frizzante dopo il trapianto”. Lucia riesce nonostante tutto a laurearsi prima in lettere e poi in psicologia, si trasferisce in Umbria per insegnare e si trasforma in un’animatrice infaticabile e appassionata della vita politica e culturale della sua comunità. Diventa vice sindaco della cittadina di Trevi e assessore alla cultura, presiede diverse associazioni nel territorio, partecipa ai lavori della fondazione Cassa di Risparmio di Foligno e istituisce con il patrocinio del Comune il premio di poesia intitolato alla figlia.

La vicenda di Lucia e Corinna, visto il livello culturale delle protagoniste, non poteva che avere come sbocco un libro autobiografico che da me e in futuro da altre migliaia di persone viene interpretato proprio come le autrici speravano: uno straordinario inno alla vita.

Ci sono infinite suggestioni in questo racconto nel quale persone comuni finiscono per diventare figure epiche forse perché non hanno avuto altra possibilità se non combattere o forse semplicemente perché gli eroi sono quelli di noi che, dinanzi agli ostacoli del vivere, non rinunciano mai alla pienezza dei sentimenti. Una moltitudine di emozioni distillate nell’arco di un’esistenza travagliata e a tratti avventurosa. C’è l’angoscia e l’ingiustizia della malattia, c’è l’audacia dell’essere umano che non si rassegna e inventa soluzioni scontrandosi con la grettezza e la passività; c’è la forza dirompente dell’amore che unisce madre e figlia, capace di ignorare qualsiasi regola e costrizione, un cordone ombelicale che le tiene legate l’una all’altra “come una catena da cui si tenta di fuggire, ma che si stringe sempre di più”. Lucia e Corinna, Corinna e Lucia. Madre e figlia, figlia e madre e persino – per un tratto della loro esistenza – quasi sorelle nel condividere interessi e passioni. Lucia che intuisce fin dal principio che solo sfidando i limiti della medicina con il marito e diventando “noi stessi medici, infermieri, studiosi, ricercatori, avremmo potuto strappare alla morte” quella figlia così fragile. Corinna che si ribella all’inettitudine dei medici e di chi dovrebbe assisterla e inventa piccole strategie per sé stessa, per garantirsi parentesi di vita normale in quella incredibile partita a scacchi con la morte che entrambe, madre e figlia, hanno avuto in sorte di giocare su questa terra.

Dovremmo essere abituati ad annusare la morte vivendo – scrive Lucia – e la vita morendo”.

Quante volte pensando alla mia vita e alla vicenda capitata alla mia famiglia, ho avvertito che morte e vita si sfiorano come una danza, si fronteggiano, sono nella natura delle cose, fanno parte dell’universo come un torrente in piena che può travolgere tutto con la sua energia. Le ultime ore di Corinna, raccontate dalla penna di Lucia, fanno così male che è quasi impossibile arrivare indenni alla fine: è un dolore che squarcia il cuore, lo stomaco, spegne il respiro e può uccidere. Un dramma al quale si può sopravvivere solo sdoppiandosi in un luogo sconosciuto nel quale il corpo e la mente non hanno più alcuna percezione l’uno dell’altro, o, come ha fatto Lucia, perseguendo tenacemente un obiettivo: quello di far sì che la sua Corinna potesse continuare a esistere anche dopo la morte, scandendo anche nella scrittura la fatica della malattia. E quindi, imprimendo sulla carta tutte le paure di madre e lo strazio di una bambina che sa di non poter crescere in modo spensierato come accade agli altri coetanei, ma anche il calore di tutti i momenti vissuti insieme guardandosi negli occhi, tenendosi la mano e persino ridendo delle disavventure dei personaggi inventati da Lucia nelle lunghe giornate trascorse accanto al letto di Corinna in ospedale.

Ora, superato lo sgomento iniziale e dopo essermi a lungo interrogato, sono davvero consapevole dei motivi che hanno spinto Lucia a reclamare che fossi io e soltanto io a scrivere la prefazione di questo libro. Lucia aveva percepito che le nostre storie sono diverse e in fondo simili. Ci sono due figlie nate negli anni ’70, belle e piene di voglia di vivere. Per Corinna l’esistenza è una continua lotta, per Eluana la giovinezza è piena, il suo vigore è inarrestabile ma entrambe, sia pure per ragioni diverse, vengono consegnate alla morte “a gocce”.

Io lottavo per la vita di mia figlia – aveva scritto nella rivista Chiaroscuro 16 maggio del 2012, dedicato proprio alla vicenda di Eluana – e tu, Beppino, per la sua morte ma lottavamo per la stessa cosa: per difendere il diritto alla vita che è anche diritto di morire. È una battaglia che ci ha logorati e, allo stesso tempo, reso più forti”. Ma – di questo sono convinto – non credo esista “un diritto alla morte” quanto piuttosto il diritto a “essere lasciati morire” e a desiderare una morte più umana. Penso – come aveva scritto Leonardo Sciascia e come aveva riportato in un appunto Corinna e come pensava anche mia figlia Eluana, che “a un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire ma il morire è l’ultima speranza”. Ad accomunarci, cara Lucia, è stata dunque la consapevolezza della tragedia della vita alla quale nessuno di noi si è potuto sottrarre sebbene io non mi sia mai interrogato sul perché della sorte toccata alla mia famiglia. Certo, l’incidente capitato a mia figlia Eluana, aveva infranto la felicità del nostro nucleo familiare ma a distruggermi non è stato solo il dolore per la perdita di mia figlia quanto piuttosto l’atrocità della condizione nella quale Eluana era precipitata a causa dell’ottusità di certa medicina e dell’arroganza di certa politica. Una violenza che era lontana dai principi della nostra famiglia, dalla nostra concezione del vivere, dall’idea forte che avevamo sulle scelte del fine vita, tutte questioni sulle quali avevamo dialogato stringendo un patto di solidarietà reciproco e indissolubile. Per questo non ho avuto scelta e non ho avuto pace fin quando mia figlia non è stata liberata dalle catene che la tenevano prigioniera. Darle voceè stato un dovere al quale non potevo sottrarmi.

Se potessi rivolgermi a Lucia in questo momento le direi che gli incontri a volte non sono casuali e che ad unirci nel profondo è l’aver dedicato tutte le nostre energie al dramma toccato alle nostre famiglie. Lo abbiamo fatto, ciascuno per la propria via, proteggendo le nostre figlie dalla violenza di chi pensa di decidere per gli altri e dal pietismo insulso che ferisce la dignità.

Credo che Lucia più di Corinna si rendesse conto della necessità di raccontare tutto questo nonostante l’indicibile sofferenza provata nel ripercorrere una vicenda così travagliata, quasi 40 anni di vita ripassati al setaccio, un lavoro troppo straordinario per non essere fatto. È questa urgenza, questa spinta che ha consentito a Lucia di andare avanti nonostante il vuoto lasciato da Corinna, scrivendo senza sosta, senza eludere i momenti più intimi del suo dramma. Ci vuole un grande coraggio e una straordinaria fermezza per giungere fino in fondo da soli, togliendosi la corazza e presentandosi nudi e umani alla meta. Per questo sento il dovere di ringraziare, in un contesto diverso da quello che avevo immaginato, la persona che mi ha affiancato nella scrittura del libro – anche questo un’autobiografia – che ripercorre la tragedia di mia figlia Eluana e la battaglia civile per una legge che consenta a ogni individuo di decidere della propria salute. Mi riferisco alla giornalista Adriana Pannitteri che, più di altri, mi ha costretto a misurarmi con le mie fragilità, con i miei limiti e con il grande dolore che mi attanaglia.

Saranno gli altri a giudicare se siamo stati capaci di lasciare una traccia con la nostra testimonianza o se le nostre vicende umane – di Lucia, Corinna e di Eluana – siano cadute nel vuoto e dimenticate. Il marito di Lucia, Teo, ha avuto un ruolo determinante nel saper cogliere i desideri di sua moglie affidando il manoscritto a due giovani editori che stanno facendo del loro meglio, con entusiasmo, per non dissipare quel tesoro di pensieri e di emozioni che hanno caratterizzato la vita di questa donna e di sua figlia.

 

Beppino Englaro


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