Regia: Nanni Moretti. Soggetto e Sceneggiatura: Nanni Moretti. Fotografia: Giuseppe Pinori. Montaggio: Enzo Meniconi. Musica: Franco Piersanti. Scenografia: Gianni Sbarra, Massimo Razzi. Costumi: Fabrizia Magnini. Produzione: Mario Gallo. Durata: 103’. Colore. Genere: Commedia. Interpreti: Nanni Moretti, Luisa Rossi, Glauco Mauri, Lorenza Ralli, Fabio Traversa, Paolo Zaccagnini, Piero Galletti, Lina Sastri, Susanna Javicoli, Maurizio Romoli, Carola Stagnaro, Augusto Minzolini, Cristina Manni, Luigi Moretti, Simona Frosi, Giorgio Viterbo, Age, Mauro Fabbretti, Maurizio De Taddeo, Cristiano Gentili, Vincenzo Vitobello, Giampiero Mughini, Andrea Pozzi, Sandro Oliva.
Ecce bombo è il secondo film di Nanni Moretti, dopo aver debuttato con Io sono un autarchico (1976), in Super 8, gonfiato a 16 mm, film sulle vicissitudini dei giovani della sinistra extraparlamentare, che segue il mediometraggio Come parli frate? (1974), singolare rilettura dei Promessi Sposi dalla parte di Don Rodrigo. Il titolo deriva dal grido di uno straccivendolo che percorre il litorale romano sin dalle prime ore del mattino. Fantastica l’inquadratura, molto felliniana, in campo lungo, di un’alba suggestiva sulla spiaggia di Ostia con un uomo in bicicletta che corre verso il lavoro quotidiano. Altri titoli in lavorazione erano: Sono stanco delle uova al tegamino, Piccolo gruppo, Delirio d’agosto e Senza caviglie. Ecce bombo è girato in presa diretta, con suono monofonico, in 16 mm e poi ristampato in 35 mm, prodotto grazie ai benefici dell’art. 32 sul giovane cinema d’autore, presentato al Festival di Cannes e ben accolto da pubblico e critica. Segna l’inizio della parabola ascendente di Nanni Moretti, anche se siamo sempre in pieno autobiografismo, con molte manie del regista in primo piano, non ultimo l’amore per le canzoni di Gino Paoli. “Amare inutilmente” (Agate - Paoli) fa parte della colonna sonora, molto suggestiva, composta da Franco Piersanti. In breve la trama, che non è la cosa più importante, come sempre in un film di Moretti, autore in senso pieno perché scrive, sceneggia e dirige il film.
Michele (Moretti), Mirko (Traversa), Vito (Zaccagnini) e Goffredo (Galletti) sono quattro amici annoiati dalla vita, dalla scuola, dal solito tran tran del quotidiano, persino dalla politica e dalle donne. Decidono di ritrovarsi per fare un percorso di autocoscienza di gruppo, dove ognuno espone la sua concezione della vita, ma anche questa occupazione non porta a niente di positivo. Si finiscono per esporre problemi di poco conto, logorroiche considerazioni sulla necessità di scopare con le donne, valutazioni poco approfondite sul senso della vita. L’insoddisfazione dei quattro amici resta tale, così come sono difficili i rapporti familiari con i genitori e la comunicazione sessuale con il partner. Michele prepara svogliati ragazzi per l’esame di maturità ma i risultati sono scadenti, non capisce le donne e viene lasciato da diverse fidanzate con le quali non comunica. Al gruppo di giovani si aggiunge Olga (Sastri), una ragazza schizofrenica piena di problemi che alla fine viene lasciata sola da tutti, mentre Michele si reca a farle visita.
Molte sequenze del film sono indimenticabili. Prima tra tutte la scena al bar quando un infastidito Michele non sopporta più il qualunquismo di un avventore e gli grida: “Bianchi e neri sono tutti uguali? Ma che siamo in un film di Alberto Sordi?”. Quando viene cacciato dal locale rincara: “Te lo meriti Alberto Sordi!”. Massimiliano Bruno riprende la scena in Nessuno mi può giudicare (2011) e la fa interpretare a Rocco Papaleo che in una sorta di ironico omaggio grida: “Ma che siamo in un film di Nanni Moretti?”. Ora, il bersaglio di Nanni Moretti non è certo Alberto Sordi, grande e indiscutibile attore, ma quel che rappresenta: l’italiano medio, il borghese mediocre, l’uomo senza ideali. Altra scena entrata nella mitologia e nel modo di parlare giovanile (di allora), il colloquio con l’amica che non fa niente di concreto: “Giro, vedo gente, faccio cose”. Un’altra fissa di Moretti contro il modo di parlare (in un film successivo – Palombella rossa – dirà: “Come parli? Le parole sono importanti!”) è molto presente: “Silvia, non la Silvia. Fortunatamente siamo a Roma, non a Milano… Cacare, non cagare. Fica, non figa”. Molti gli attori insoliti, tra tutti Giampiero Mughini (l’intellettuale) e Augusto Minzolini (uno studente), ma anche il padre di Nanni Moretti, Luigi, nei panni del poeta che cerca un ruolo in un film. Moretti cita Fellini a più non posso, soprattutto come tecnica di regia e per alcune sequenze poetiche, come il ballo degli anziani sul lungomare, ma anche sequenze di clown e acrobati da circo in sottofondo. Il tema del film è l’incomunicabilità, la difficoltà di avere un rapporto corretto con la famiglia e anche con i coetanei, la mancanza di obiettivi e di un progetto comune, il difficile rapporto con le donne. Un bel quadro dei giovani intellettuali degli anni Settanta, quando non era facile essere extraparlamentari senza rischiare di essere accusati di disfattismo e terrorismo, ma non era semplice neppure dare un senso alla propria vita con l’impegno politico. I quattro amici sono reduci del Sessantotto e hanno perso ogni certezza, ogni riferimento politico, cercano disperatamente qualcosa di nuovo, ma non lo trovano. Pubblico e privato si confondono in un doloroso quadro che ha poco della commedia ma diventa cinema drammatico, amaro, in definitiva molto autocritico. Le radio libere sono uno sfogo sentimentale e una valvola di scappamento per evitare la follia, le riunioni di improbabili collettivi sono soltanto inutili contenitori di parole, i rapporti con le donne sono sempre fallimentari. Non è importante stabilire se i giovani del 1978 erano davvero così, oppure no, come parte della critica contemporanea ha cercato di fare. Ho vissuto quella generazione e devo dire di essermi riconosciuto, in parte, nella descrizione del regista, che non parla di tutti i giovani, ma dei molti che hanno avuto un’illusione politica e hanno compiuto studi letterari. Un elite di giovani, in definitiva, perché il cinema di Nanni Moretti non si pone il problema di piacere a tutti, è di per sé cinema elitario. Ecce bombo è permeato di iperrealismo, certo, ma molte situazioni sono realistiche, vita vissuta, tante esperienze sono autobiografiche. Cinema che a tratti rinuncia a fare cinema ma si rinchiude in spazi claustrofobici e logorroici, ma subito dopo ripaga con la bellezza di alcune inquadrature romane che dimostrano il valore di un giovane regista pronto ad affermarsi.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (due stelle e mezzo): «Un piccolo cult-movie, il film racconta per brevi scene successive la solitudine e la profonda decadenza della mitologia quotidiana di tutta una generazione (Buttafava) incapace di andare al fondo delle proprie contraddizioni ma anche spaventata dalla propria paura dei sentimenti. Caustico e crudele, il film soffre però di una certa frammentarietà e non riesce ancora a trasformare (come Moretti saprà fare in seguito) la sua vitale aggressività e la sua disillusione da rabbia narcisistica in sofferta scelta morale». Morando Morandini (tre stelle critica, quattro stelle pubblico): «La struttura del film è fatta di una catena di strisce più o meno brevi, attraverso le quali il discorso fila limpido e omogeneo, inducendo alla risata, al sorriso, alla riflessione». Pino Farinotti (tre stelle): «Roma, desolata e insolita, è il palcoscenico per la rappresentazione della desolazione giovanile, e per la descrizione di una totale assenza di idee e di alternative che il racconto denuncia». Il film suscita discussioni e dibattiti sulle principali testate dell’epoca, Panorama ed Espresso su tutti, non può dirsi opera del tutto riuscita per un eccesso di frammentarietà, ma resta un lavoro importante per le cose che dice e i problemi che affronta. Moretti si propone come guida di una società allo sbando, soprattutto come mentore di un mondo giovanile alla ricerca di se stesso dopo le delusioni post sessantottine. Il robivecchi che corre sul lungomare è l’emblema di una generazione allo sbando, incapace persino di andare a veder sorgere il sole dalla parte giusta. Il primo film professionale di Nanni Moretti costa 180 milioni e incassa 2 miliardi. Uno dei rari casi in cui un film impegnato piace più al pubblico che alla critica, grazie ai giovani del 1978 che si riconoscono nei personaggi.
Gordiano Lupi