Guido Viale, un tempo dirigente di Lotta Continua, è ora un apprezzato studioso che si occupa di ricerche economiche, sociali e di politiche attive del lavoro in campo ambientale. L’articolo che segue, pubblicato in origine sul settimanale Left (e qui ripreso da Notizie Radicali, con questa nota introduttiva, ndr) affronta la questione dell’abolizione delle province con un taglio decisamente originale. Lo si può condividere o meno, ma pone degli interrogativi. Nell’area radicale quasi tutti si pronunciano per l’abolizione delle province, ritenute uno spreco inutile di pubblico denaro. Ma forse la questione è più complessa di quanto a prima vista possa apparire, e comunque merita un supplemento di riflessione. È ovvio che ulteriori contributi sono ben accetti.
Tutti, dal Corriere della Sera a Grillo, da la Repubblica al PD, invocano l’abolizione delle Province, come se dalla loro abolizione dipendesse il risanamento dei conti dello Stato. Probabilmente nessuno di coloro che la invocano sa veramente di che cosa sta parlando. L’abolizione delle Province, se e quando verrà realizzata, riguarderà solo gli organi rappresentativi: consigli, giunte, assessori e presidenti, che costano al bilancio pubblico non più di 3-400 milioni all’anno: quanto si può risparmiare dimezzando stipendi e diarie dei parlamentari come ha fatto il movimento cinque stelle.
Il personale, invece, dovrà essere trasferito ad altri enti: se passerà alle Regioni il suo costo aumenterà perché là, a parità di qualifica, le remunerazioni sono maggiori; ma dovranno essere ripartite, tra Regioni e Comuni, anche le funzioni attuali delle Province, come strade, scuole, vigilanza ambientale, servizi per l’impiego, ecc., e le risorse per farvi fronte (con il personale, circa 17 miliardi l’anno). Il risparmio sarà quindi insignificante. Ma le conseguenze saranno disastrose. Perché la Provincia risponde alla logica di collegare in una sola entità amministrativa decine o centinaia di comuni minori con una città media o grande (i famosi “cento Comuni” d’Italia) che ne è il capoluogo. Se a farsi carico delle funzioni delle Province dovranno essere i Comuni, su quelli piccoli graveranno oneri per loro insostenibili; ma se a farlo saranno le Regioni, soprattutto quelle con milioni di abitanti, il rapporto tra amministrazione e territori si allenterà ulteriormente. E si moltiplicherà il caos normativo, perché le Regioni, a differenza delle Province, legiferano su tutto. E aumenteranno gli sprechi.
L’idiozia è mettere mano alle Province senza rivedere nel suo complesso tutto l’ordinamento delle autonomie locali, il che imporrebbe un dibattito pubblico che oggi non c’è. Quali funzioni delle Province possono essere addossate a un Comune di 2-300 o anche 3-5mila abitanti? È vero che dal prossimo anno i Comuni di quelle dimensioni sono tenuti a unirsi con quelli vicini per gestire congiuntamente gran parte delle funzioni di loro competenza. Ma ben pochi si stanno organizzando per farlo; e anche unendosi i nuovi organismi non avranno mai le strutture tecniche e amministrative per farsi carico di funzioni che hanno come loro bacino di riferimento aree molto più vaste dei loro territori: aree che sono appunto – grosso modo, e con alcune eccezioni – quelle delle Province, e non quelle della maggior parte delle Regioni.
Ma l’obiettivo sotteso è chiaro: mettere i Comuni, gli organi elettivi più prossimi alla cittadinanza e più esposti alle istanze di base, nell’impossibilità di governare; e giustificare così il loro esautoramento, già in corso da anni, e l’ulteriore privatizzazione dei servizi pubblici. Un altro passo verso la distruzione del nostro ordinamento democratico.
Guido Viale