Habáname
Wendy Guerra. Una Cuba russa
23 Giugno 2013
 

La docente e ricercatrice newyorkese Jacqueline Loss si è dedicata a una scrupolosa indagine sull’impronta russa lasciata a Cuba. Da poche settimane è riuscita a portare all’Avana due dei suoi studi, eccellenti libri che analizzano questo fenomeno. Qui ha avuto la possibilità di metterli a confronto con autori e un pubblico letterario che, in quei decenni di “vodka e Pravda”, con i sovietici hanno convissuto.

Tutti noi, autori e lettori cubani, abbiamo molto da dire a riguardo; ma, nel trascorrere degli anni, quando ormai i sovietici, in alcuni quartieri e città, sono un ricordo di odori, sapori e figure fantasmagoriche, è lei a riesaminare questa tappa a livello accademico, osservando se siano rimaste delle impronte tangibili di questo complesso e dilatato momento storico in cui tutti ci vediamo coinvolti: parlando russo, studiando lì, guardando i cartoni animati, sposandoci con dei sovietici, cantando le loro canzoni a scuola o semplicemente comprando lattine di conserva per mangiare.

Dopo la celebre “Crisi dei missili” o le visite sull’isola dei vari presidenti nel bel mezzo di quella vita sovietica intessuta in una applaudita, imposta o cantilenata roulette di “fratellanza” tra due popoli così distanti e diversi, oggi mi domando… che cosa ci è rimasto di loro? In noi, dove li ritroviamo?

 

Come se ne andarono i russi

 

Loro non si integrarono mai

ci parlavano e noi rispondevamo ballando

loro non furono mai parte

erano percepibili come il loro odore

nascosti come i loro sottomarini

non so dove poter indirizzare queste parole

ricordo che insegnai ai miei amici di Mosca a combattere

[senza piangere

ma loro non si integrarono mai forse era il caldo oppure le pellicole

a poco a poco se ne andarono e

KONIEC.

 

W.G: Esiste una Cuba Russa? Com’è andata l’impresa di portare questi libri a Cuba?

J.L: Se esiste una Cuba Russa… che domanda interessante, Wendy. Quello che più mi affascina è il fatto che “Russa” sia in maiuscolo, come se stessi dicendo anche Russia, come se esistesse un paese composto da due entità diverse. Vale a dire, che ci troviamo già nel terreno dell’“immaginario”, una parola che compare nel sottotitolo del libro Dreaming in Russian: the Cuban Soviet Imaginary, e questo immaginario è stato determinato da un passato concreto, che ha componenti sovietiche e russe (anche precedenti la rivoluzione); un presente, che vede dissolversi gran parte di questo passato trasformandolo in qualcos’altro – abbandono, critica o ricostruzione; e c’è anche un futuro, con un’altra realtà e un altro immaginario, costituito da elementi russi e sovietici. La tua domanda ci costringe a parlare dell’imposizione di una cultura, quella dominante, su un’altra cultura. In definitiva, né la cultura sovietica né quella russa hanno attualmente soffocato la cultura cubana ma, a causa dei tre decenni di stretti rapporti avuti con l’Unione Sovietica e i paesi del vecchio blocco socialista, la società cubana di oggi respira in un modo diverso, questo sì.

Cosa voglio dire con questo? Che durante quel periodo cubano-sovietico era come se tutte le discipline, tutte le strutture di conoscenza venissero assimilate ed esaminate attraverso un prisma sovietico. Le conseguenze dell’utilizzo di questo prisma hanno dato alla luce alcuni fenomeni discrepanti, perché dipendenti da molteplici fattori – tra gli altri, la generazione di appartenenza, il luogo in cui si vive sull’isola, se si è avuta o meno la possibilità di viaggiare a quasi 9550 chilometri dall’Avana. Sono tutte tematiche che analizzo nel mio libro Dreaming in Russian e che studiosi importanti discutono nella raccolta che ho curato insieme a José Manuel Prieto, Caviar with Rum.

Credo che sia opportuno richiamare l’attenzione su un passaggio del tuo romanzo Nunca fui Primera Dama, in cui la protagonista, Nadia Guerra, descrive il suo incontro con un personaggio che si chiama Edelsa. Dice:

“Mio padre diceva che era stata Edelsa ad avere l’idea di quei corsi di russo alla radio. Alla fine, continuo a vagare tra il samovar di legno, le matrioske impolverate e le sue foto. La mulatta cubana, tra ponti e monumenti innevati; la donna con lo shadka, sorridente nelle istantanee sparse in tutto lo spazio dell’ufficio. Luogo sospeso nel tempo, con tutto il freddo della steppa siberiana, l’aria condizionata al massimo e le cartoline russe sistemate in ordine di grandezza sopra la cassa dell’apparecchio gelato, rumoroso e anch’esso sovietico, in pessime condizioni, eppure qui, in funzione. Dubito che i funzionari russi conservino un luogo simile nel loro paese.”

Per quanto a Cuba sia proibito innalzare statue di personalità nazionali ancora in vita, di certo questa stanza ha l’aspetto di un mausoleo. È come se avessero trasportato la stessa aria sovietica nel clima tropicale di questo ufficio, in cui non riesce a circolare abbastanza. Edelsa con il suo shadka è come un objet trouvé, emblema della portata dell’“impero” sovietico. Le contraddizioni legate a quanto di russo e di sovietico è possibile identificare attraverso la tua prosa e la tua poesia esemplificano un aspetto importante del panorama di esperienze che le arti cubane di oggi manifestano rispetto al dibattito sul livello di colonizzazione dell’isola di Cuba da parte dell’Unione Sovietica.

Dobbiamo anche ricordare che ci sono persone provenienti da diverse repubbliche che vivono a Cuba, così come i loro figli e i loro nipoti, alcuni dei quali di matrimoni misti, come Dmitri Prieto Samsonov, Anna Lidia Vega Serova e Polina Martínez Shvietsova, perfettamente integrati nella cultura attuale. E a volte mi domando se sarà Cuba il luogo in cui si riformerà una nuova unione “sovietica”. Benché non ci sia una Cuba Russa reale, di certo esiste una Cuba composta da molti che hanno madri provenienti dalle repubbliche della vecchia URSS. Il mio libro Dreaming in Russian, di fatto, si apre parlando della loro produzione e di quella di diversi cubani, come Gustavo Pérez, Oneyda González, Lissette Solórzano e Penda Houzangbe (Francia/Togo), che hanno documentato la loro presenza anche a Cuba.

E l’impresa di portare i miei libri a Cuba… da una parte è iniziata molto prima, quando io e José Manuel Prieto ci eravamo proposti di invitare negli Stati Uniti, per il simposio del 2007 “Cuba-URSS e l’esperienza post-sovietica”, studiosi e artisti che vivevano sull’isola. E dopo essere dovuti passare attraverso innumerevoli pratiche a Cuba e, trattandosi all’epoca di un argomento piuttosto problematico, attraverso la quasi impossibilità di raccogliere fondi sufficienti per portare a termine il progetto, ai nostri invitati non fu possibile raggiungere gli Stati Uniti, perché il governo di George W. Bush negò i visti alla quasi totalità di loro.

Alcune settimane fa ho presentato i due libri al Centro Culturale Dulce María Loynaz dell’Avana, un evento davvero speciale. Per quanto io e José Manuel Prieto avessimo detto di voler presentare Caviar with Rum all’Avana al momento della sua uscita, non ce l’abbiamo fatta, così quando la professoressa Jennifer Hosek, autrice di Sun, Sex, and Socialism: Cuba in the German Imaginary, mi ha parlato dell’idea di presentare il suo libro insieme ai miei, lì, durante un incontro curato dal saggista e poeta Víctor Fowler Calzada, mi è sembrato stupendo. Una volta lì in mezzo, ho sentito che stava realmente presentando un libro “del pubblico”, perché molti degli artisti di cui discuto in Dreaming in Russian si trovavano in sala. Inoltre, quattro degli stessi autori che hanno dato il loro contributo a Caviar with Rum hanno discusso dei loro saggi. L’effetto prodotto su di me dalla presentazione dell’Avana e da quella di Coral Gables, la settimana seguente, è stato commovente. D’altra parte, credo che l’avventura sia appena incominciata, perché Dreaming in Russian e l’antologia sono scritti in inglese. Mi piacerebbe che uscissero in spagnolo e che circolassero sull’isola e nel mondo ispanofono. A ogni modo, ho donato delle copie in inglese a diverse biblioteche dell’Avana.

 

Wendy Guerra

(Habáname, 20 giugno 2013)

Traduzione di Silvia Bertoli


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