Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Autoritratti. Iscrizioni del Femminile nell’arte italiana contemporanea 
Al Museo d’Arte Moderna di Bologna, fino al 1° settembre
13 Maggio 2013
 

All’inizio del Novecento le donne presenti sulla scena artistica godevano già di benefici per i quali altre donne si erano battute nel XIX secolo. Potevano studiare nelle stesse accademie degli uomini, accedere alle borse di studio, prendere parte alle lezioni di disegno dal vero, partecipare a concorsi e vincere premi. Inoltre potevano presentare le proprie opere alle mostre internazionali e venderle nelle gallerie, ricevere commissioni e recitare una parte attiva sulla scena artistica. Le prime mostre dedicate esclusivamente ad artiste donne si tennero ad Amsterdam, nel 1884, e a Parigi, nel 1908 e nel 1913.

I primi decenni del XX secolo videro nascere una molteplicità di movimenti artistici e una pluralità di stili che in precedenza sarebbe stata inconcepibile. Inoltre i nuovi mezzi della fotografia e del cinema stavano lentamente ma decisamente affermando le proprie credenziali come forme d’arte a pieno titolo, portando con sé mutamenti notevoli nel campo delle arti visive. Sebbene le donne avessero finalmente ottenuto l’accesso alle accademie e, rispetto al passato, fossero meno limitate dalle convenzioni sociali, per poter fare carriera erano spesso costrette a ricorrere a contatti individuali con artisti di sesso maschile già affermati. L’avanguardia dei primi anni del secolo comprendeva numerose donne (come Sonia Delaunay e Natalia Goncharova) che avevano sviluppato un loro stile nelle accademie russe per poi perfezionarlo studiando a Parigi. Nel secondo ventennio del secolo, le artiste producevano opere che spaziavano in ogni area delle arti visive, dal nudo maschile all’astrattismo totale. La prima guerra mondiale vide emergere dadaisti, la cui opera rispecchiava, tra le altre tendenze anarchiche e pacifiste. Una studentessa di nome Hanna Höch trovò nel gruppo il suo ambiente ideale. Negli anni ’20 Georgia O’Keeffe crea i suoi celebri dipinti floreali. Negli anni ’30 e ’40 numerose artiste, e tra loro Meret Oppenheim, scoprirono il Surrealismo. Anche la scultura cessò di essere un ambito puramente maschile. In Francia, Germaine Richier aveva iniziato a fondere in bronzo le sue originali sculture fantastiche.

Negli anni ’60 la concezione convenzionale di arte si ampliò notevolmente, venendo a includere un numero senza precedenti di stili e approcci coesistenti: Pop Art, Op Art, Conceptual Art, Land Art, Minimal Art, Happening e Fluxus, performance e Body Art emersero quasi simultaneamente e in ogni nuova tendenza le donne svolsero una parte importante.

Se la fine degli anni ’60 era sentita come l’inizio di una nuova era, anche il femminismo sembrava in possesso di una nuova forza. Nei musei e nelle accademie di belle arti, le artiste protestavano per ottenere uguali diritti. Organizzavano mostre proprie, gestivano gallerie e tenevano lezioni d’arte autonome. Cercarono anche dei mezzi politici per penetrare nelle strutture dominate dagli uomini.

Ed è proprio con la prospettiva di mettere in luce le connessioni fra arte e politica nell’Italia degli ultimi decenni che nasce la mostra “Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea” al MAMbO – Museo d’Arte Moderna di Bologna, fino al 1° settembre (catalogo Corraini Edizioni). La mostra presenta opere di 42 artiste, in gran parte realizzate per l’occasione e riferite a diversi nuclei tematici elaborati da Emanuela De Checco, Laura Iamurri, Annabella Natalini, Francesca Pasini, Maria Antonietta Trasforini e da un gruppo di lavoro del museo coordinato da Uliana Zanetti.

L’evento non costituisce una ricognizione esaustiva dell’arte femminile in Italia o una celebrazione del genio delle donne, né un tentativo di definire una specificità di genere, ma si ripropone di significare la differenza attraverso una molteplicità di posizioni, poetiche e pratiche. Basta aggirarsi per le sale del piano terra per capire che la mostra mette insieme sensibilità ed esperienze differenti, culture lontane.

Dalle sculture di Marion Baruch, ottantenne, realizzate con gli scarti di modelli tessili, a I racconti del lenzuolo di Maria Lai, artista recentemente scomparsa, cuciti su tanti pezzi di tela (presentata in catalogo da Cristina Collu), Dai nuovi lavori su carta di Grazia Toderi Orbite rosse, ai delicati intrecci con crine di Christiane Lhor. C’è chi racconta per scatti e immagini il rapporto con la madre, come Letizia Renzini, in un doppio ritratto fotografico Stai, Moira Ricci, con un lavoro autobiografico, o Annalisa Cattani con Novella. E chi, da sempre, traduce in istallazioni poetiche il rapporto di coppia come fa Ottonella Morcellin qui ancora in dialogo con il compagno Nicola Pellegrini (unico artista uomo, presente nella collettiva). C’è chi poi sperimenta materiali come Enrica Borghi che fa scendere dal soffitto della grande Sala delle Ciminiere delle coloratissime Meduse in pvc, e chi racconta storie di criminali attraverso megafoni come fa Liliana Moro in Assassine. Eva Marisaldi costringe ad alzare gli occhi verso il soffitto con il progetto Prossimamente mentre Anna Rossi consegna all’ingresso un caleidoscopio attraverso cui guardare, con occhi diversi, la mostra.

Il testo di Cristina Collu, nel descrivere l’opera di Maria Lai (a cui la rassegna è dedicata) si propone come un messaggio poetico per tutte le artiste e per il loro operare infaticabile:

«Se c’è una modalità femminile per essere artista, Maria Lai la incarna: termine usato non a caso, la sua arte è nella carne, è della sua stessa sostanza dal principio, dalla genetica che ha deciso il suo genere, e dalla visione del mondo che proietta lo sguardo intenso di chi coniuga, e si coniuga costantemente con la meraviglia dell’origine, dell’archè, della natura, con la forza del gesto appena accennato, con ruvidezza solo apparente, con scarna e asciutta (im)precisione. Se gli occhi guardano al cielo, ecco le costellazioni posarsi sulla trama e sull’ordito di una storia che ognuno di noi tesse con i fili intrecciati al mondo e con l’ago e il filo della vita fissano in un disegno che rivela la nostra apparenza all’infinito».

 

Maria Paola Forlani



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