Quando l'Islam si separò dalla ragione? Perché il Cristianesimo, che ha incontrato la ragione del pensiero greco, per secoli ha continuato a diffondere e a mantenere la fede mediante la violenza?
La citazione estrapolata dal discorso di Papa Benedetto XVI all'Università di Regensburg è stata solo un pretesto per infiammare le piazze islamiche, una replica perfetta della mobilitazione violenta orchestrata contro le vignette su Maometto, nel febbraio scorso.
Con le loro reazioni inneggianti alla “guerra santa” i fondamentalisti sunniti e sciiti – i Fratelli musulmani, Al Qaeda, la più alta autorità spirituale e politica iraniana, Khamenei, e il Gran Muftì saudita Abdulaziz Sheikh – hanno di fatto sottoscritto le pesanti parole dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo, da cui il Papa ha tratto la citazione incriminata. Bisogna, quindi, affermare con forza che nulla – né vignette né lezioni universitarie – giustifica la violenza. Abbiamo avuto in questi giorni nuova e vivida dimostrazione di quanto l'intreccio tra autoritarismo politico e fondamentalismo religioso abbia portato nel mondo islamico a un'eclissi della tolleranza, dell'abitudine al confronto e all'autocritica. L'Islam non si può criticare, né discutere, neanche con un pacato ragionamento filosofico-teologico.
Di fronte a questa campagna d'odio nei confronti di Benedetto XVI non si può che riaffermare con forza il principio della libertà d'espressione contro ogni intimidazione, anche se è bene ricordare che dalla Santa Sede non udimmo parole in difesa delle vignette satiriche su Maometto bensì di rimprovero alla satira blasfema. Ma come diceva Thomas Friedman: «Noi siamo i buoni, vediamo di dimostrarlo».
Molti commentatori, qui da noi, hanno sottolineato la debolezza, la condizione di marginalità, dell'«introvabile islam moderato». È indubbio che siano oggi milioni – una minoranza, ma rilevante e in forte crescita – i musulmani che sposano la versione jihadista dell'Islam. Tuttavia, le voci minacciose dei loro leader sono le sole che ci arrivano anche perché le più chiassose e violente, e le uniche trasmesse dai ben poco indipendenti e moderati canali di informazione del mondo islamico.
Eppure, anche tra le reazioni al discorso di Regensburg, alcune critiche, seppure ferme e dure, sono rimaste nell'ambito del dialogo, ma nel migliore dei casi le abbiamo ignorate, nel peggiore assimilate alle parole d'ordine degli estremisti.
Il Gran Muftì turco, Ali Bardakoglu, è persona seria e affidabile, non un estremista, ma un riformatore, che si prodiga nel cercare di sostenere, all'interno delle sua comunità religiosa, che Maometto non ha predicato la violenza, la discriminazione e l'oppressione. Come presidente degli Affari religiosi in Turchia ha di recente avviato un'iniziativa di studio per eliminare dalle raccolte di hadit quelle parti che legittimerebbero le discriminazioni e le violenze contro le donne, affermando che il profeta Maometto non può averle incoraggiate, e nominato due donne vice-muftì. In questo caso, poi, la protesta ha anche un risvolto politico, s'intreccia con la contrarietà della Santa Sede all'ingresso della Turchia nell'Unione europea, obiettivo politico e strategico cui l'intera classe dirigente turca ha dedicato decenni.
Un altro che il discorso del Papa se l'è letto è il Re del Marocco, Mohamed VI, discendente diretto di Maometto, noto per aver introdotto nel suo paese, uno dei più minacciati dal terrorismo, una legislazione molto avanzata sul diritto di famiglia e la posizione delle donne. Il Re è una delle poche autorità religiose musulmane ad aver compreso che l'accusa rivolta dal Papa all'Islam riguarda la sua intrinseca irrazionalità. Dunque, ha spedito un messaggio al Pontefice nel quale, con toni civili, spiega che invece l'Islam ha incontrato la cultura greca e non è separato dalla ragione:
«Il Marocco ha avuto nella sua storia eruditi che hanno trasmesso una parte della cultura greca all'Occidente cristiano nel Medio Evo, e che nei loro trattati filosofici hanno esaminato la possibile coabitazione fra ragione e religione, essendo la prima un modo per meglio comprendere la seconda, una verità corroborata del resto dai grandi orientalisti e dagli storici di diversi paesi occidentali».
Insomma, i musulmani riformatori saranno pochi e difficili da individuare, ma quei pochi non li si promuove a interlocutori, si preferisce incrociare le spade con i deliranti proclami di Al Qaeda, non considerando che facendo da camera di risonanza all'Islam come se fosse un blocco monolitico facciamo il gioco degli estremisti.
Riducendo l'“homo islamicus” alla sua fede religiosa ci abbandoniamo inconsapevolmente alla logica dell'ideologia fondamentalista, che mira all'“uomo nuovo” islamico informato unicamente a un'identità religiosa totalizzante. Amartya Sen ci ha ricordato che un approccio «solitarista» dell'identità umana, cioè che suddivide gli esseri umani in gruppi sulla base di un solo elemento identitario, come la religione, «ignorando tutti gli altri modi in cui le persone percepiscono se stesse», non solo «nega alle persone il diritto di scegliere la propria identità» e di riconoscersi in una molteplicità di esse, ma è il miglior favore al fondamentalismo islamico, il cui obiettivo è far sì che ogni musulmano percepisca se stesso solo attraverso la sua fede, divenendo così non solo disponibile, ma anche desideroso che l'Islam rappresenti per lui un pieno totalizzante, anche più della vita stessa.
Nessun moralistico sdegno, quindi, per la presunta offesa rivolta dal Papa all'Islam, ma dopo aver difeso la sua e la nostra libertà di parola dagli assalti degli estremisti islamici, possiamo discutere della visione che Benedetto XVI mostra di avere dell'Islam – anche se trapela da un discorso incentrato sul rapporto tra ratio e fides volto più a denunciare le tre ondate di «deellenizzazione»?
Si può far notare al Papa che il Cristianesimo avrà anche incontrato la ragione del pensiero greco, ma ugualmente, per secoli, ha continuato a diffondere e a mantenere la fede mediante la violenza, fino all'incontro con un altro tipo di ragione, quella dell'Illuminismo, che l'ha costretto a deporre le armi?
È possibile, per esempio, dire che anche l'Islam ha incontrato – e ha poi smarrito – la ragione, come ha rivendicato il Re del Marocco? Oggi, certo, è chiamato a recuperare il rapporto con la ragione, ma Mohamed VI – e non Benedetto XVI – ha colto il punto esatto in cui l'Islam si è separato dalla modernità. Il divorzio tra il Dio islamico e la ragione si è consumato in epoca medioevale, quando Mhoammed al Ghazali codificò l'immutabilità del Corano, offuscando l'eredità di Averroé.
Accantonata la citazione dell'imperatore bizantino, possiamo concentrarci sulla frase chiave di Ratzinger, che è un'altra? Dopo aver spiegato che la «diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole», e che «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio», perché Dio è logos, ragione e parola, in quanto incontro – nel vangelo di Giovanni («In principio era il logos») – tra il messaggio biblico e il pensiero greco, tra fede e ragione, Papa Ratzinger dice testualmente che «per la dottrina musulmana, invece», non è così. Il Papa argomenta dal punto di vista teologico l'impossibilità, per l'Islam, di liberarsi della concezione violenta del jihad, perché l'agire contro la ragione non è in contrasto con la natura del Dio islamico, che è «assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza...». Dunque, la «diffusione della fede mediante la violenza» è un carattere intrinseco dell’Islam. Da una parte il Dio della Bibbia, del pensiero greco, dell'incontro tra fede e ragione, dall'altra il Dio del Corano, arbitrario e violento, perché lontano e separato dalla ragione.
Una Riforma dell'Islam, sembra dire quindi Benedetto XVI – che non fa cenno nel testo ai periodi in cui l'Islam, come ricordato da Mohamed VI, ha conosciuto la categoria della ragione – è molto improbabile a causa della intrinseca irrazionalità del Dio dei musulmani. Interessa a qualcuno discutere di questa visione pessimista dell'Islam?
Federico Punzi
(da Notizie radicali, 21 settembre 2006)