Lo scaffale di Tellus
Paola Polito intervista lo scrittore Ştefan Agopian 
'Il Borges dell’Est' o meglio 'il Diderot del Levante'
03 Marzo 2013
 

Buongiorno, Ştefan Agopian, grazie per avermi concesso quest’intervista in occasione dell’uscita della traduzione italiana del suo romanzo Almanacco degli accidenti presso l’Editore Felici di Pisa.

 

Inizierò con una domanda personale circa il suo cognome: non è romeno, vero?

È un cognome armeno, abbastanza frequente. Agop significa Iacob. Ci fu un tempo che, a causa di un terrorista abbastanza famoso, di nome Agop Agopian, ma anche per la mia provenienza da un paese comunista sospettato di avere legami col terrorismo internazionale, incontrai non pochi problemi negli aeroporti internazionali: mi giravano e rigiravano ogni volta come un calzino.

 

Quanto la sua scrittura è stata influenzata dall’ambiente in cui è cresciuto?

Ho trascorso l’infanzia a Bucarest in un quartiere in cui, a fianco dei romeni, c’era una mescolanza di tanti altri popoli: ebrei, armeni, greci, russi, zingari. Ogni gruppo parlava la propria lingua ma anche un romeno molto pittoresco. Quella lingua dalle tante coloriture mi ha aiutato moltissimo nella mia scrittura. Io parlo solo romeno, perché mia madre era romena, ma nella famiglia di mio padre si comunicava in turco, lingua che purtroppo non ho mai imparato.

 

Qual è stata la sua formazione? Ha sempre voluto fare lo scrittore?

Da giovane volevo fare il chimico, ma corteggiavo anche la letteratura. Entrai alla Facoltà di Chimica ma lasciai gli studi al quarto anno per dedicarmi completamente alla scrittura.

 

Qual è la ricezione della sua opera in Romania?

Come accade di solito in questo ambiente, alcuni mi lodano, altri non mi possono soffrire. Non sono sicuro, ma spero che i miei estimatori prevalgano numericamente sugli altri. In ogni caso, posso dire che quasi tutti concordano sull’originalità dei miei lavori.

 

Benché i suoi romanzi abbiano una dimensione fantastica, la loro azione si svolge sempre in un passato storico preciso: per quel che riguarda l’Almanacco le vicende si collocano all’inizio del secolo XIX, più precisamente fino all’inizio dell’anno 1808. Perché questa distanza temporale? La dimensione storica era una semplice evasione o una risorsa in più per assicurarsi una libertà espressiva rispetto alla censura?

Come in tutti i regimi comunisti, anche nella Repubblica Socialista di Romania esisteva la censura. I revisori stavano molto attenti a che non si criticasse il presente, ma chiudevano un occhio se l’azione del libro si svolgeva in un altro periodo storico. Ad esempio, nell’Almanacco degli accidenti molte pagine rinviano direttamente a Ceauşescu e alla polizia segreta, ma chi esaminò il testo e alla fine diede il consenso alla pubblicazione mi disse ridendo che non poteva censurare qualcosa che non era ambientato nel presente.

 

Quanto potente è stato a quel tempo anche il fenomeno dell’autocensura?

Non mi sono mai autocensurato, se non trasferendo l’azione dei miei libri in altri periodi storici. Esisteva anche tutta una serie di trucchi per ingannare la censura. Ad esempio, sapevo che non sarebbero state approvate scene erotiche troppo esplicite, perché la direzione del partito era pudibonda... Per questo motivo scrivevo espressamente intere pagine di erotismo infarcite di termini crudi, che il censore tagliava, contento di aver fatto il proprio dovere e lasciando così in pace il resto del libro.

 

Si poteva anche finire in carcere se nei propri scritti ci si discostava dalle “norme della morale socialista”?

No, no! Dopo il 1964, quando venne concessa l’amnistia generale ai detenuti politici (decine di migliaia), in Romania non furono emesse che rarissime condanne di tipo politico. La ragione è che di fatto erano mascherate da condanne per reati comuni. Esisteva però una miriade di altre modalità punitive come ad esempio il servizio militare, obbligatorio, che durava sedici mesi. Per i cittadini considerati indesiderabili erano stati creati dei distaccamenti speciali, cosiddetti “di lavoro”. I soldati che vi erano inviati non ricevevano alcun addestramento e non portavano armi, ma in compenso erano obbligati a svolgere lavori non qualificati. Quando ricevetti la chiamata, dopo la mia rinuncia alla facoltà di chimica, fui spedito in un distaccamento di quel tipo.

 

Era un “indesiderabile”?

Sì, per il fatto che avevo parenti all’estero. Chi aveva familiari all’estero non era visto di buon occhio dal Partito.

 

A quando, esattamente, risalgono l’idea e la redazione dell’Almanacco? E quale ne è stato il percorso editoriale?

Ho scritto le prime tre storie nel 1975, poi mi sono bloccato. Solo dopo aver trovato il titolo del libro, che agì come una specie di rivelazione, mi resi conto di quel che dovevo fare e lo terminai nel 1978. Ma uscì soltanto nel 1984, dopo la pubblicazione di altri tre romanzi, quando la mia reputazione di prosatore s’era già stabilizzata. Il mio si rivelò un calcolo corretto: il libro ebbe ed ha un grande successo, sia di pubblico che di critica. Molti l’hanno definito un capolavoro, considerandolo la prova della mia maturazione artistica, una sorta di quintessenza di tutto quello che avevo pubblicato fino ad allora. Pochi sanno invece che di fatto si tratta di un’opera della giovinezza (nel 1978 avevo 31 anni) e che sono gli altri romanzi a essere debitori di questo libricino che nella prima edizione non arrivava neppure a cento pagine!

 

Perché la Romania fanariota? Qual era la condizione delle province della futura Romania tra gli ultimi anni del sec. XVIII e l’inizio del secolo seguente?

All’inizio del secolo XVIII le tre province romene (Ardeal, Terra Romena e Moldavia) erano principati autonomi sotto la sovranità ottomana. Questo significa che erano obbligate a versare un tributo annuale alla Sublime Porta, ma potevano eleggere i loro signori o principi dalle file dell’aristocrazia locale, costituita dai boiardi. Molti fra loro, tuttavia, non erano particolarmente obbedienti e si rivoltavano. Alla fine i turchi si stancarono delle rivolte dei romeni e nel 1711 e anche nel 1716 rispettivamente la Moldavia e la Terra Romena furono private del diritto di eleggere principi autoctoni. I turchi misero in vendita le signorie delle due province e preferirono come acquirenti i greci stabiliti a Istanbul nel quartiere Fanar, da cui il nome di Fanarioti. Uomini molto colti, che avevano studiato in Occidente, specialmente in Italia, diventarono gli interpreti ufficiali, per non dire gli ambasciatori, dell’Impero Ottomano. Per comprare le due costosissime province romene si indebitarono con degli usurai e, una volta ottenuto il potere, si diedero da fare per recuperare in breve tempo i soldi spesi e guadagnare ancor più. Benché fossero dei tipi istruiti, non esitarono a derubare i territori romeni, così che le loro signorie, durate oltre cent’anni, fino al 1822, furono vissute dalla popolazione romena come una grande sventura. I principi fanarioti fecero anche cose buone ma la rapina sistematica che avevano praticato ne impallidì l’importanza. C’è stato un periodo simile nella storia moderna della Romania. Il 23 agosto 1944, per ordine del re Mihai, l’esercito romeno, schierato fino ad allora al fianco dei tedeschi, passò dalla parte degli alleati. Così i sovietici poterono occupare il paese senza colpo ferire e imporre il loro sistema comunista di tipo stalinista. Iniziò un periodo terribile per i romeni, con centinaia di migliaia di arresti, condanne a morte, espropriazione di tutte le fabbriche, le banche e così via. Il paese fu derubato ancor più che sotto il regime fanariota. Non esisteva più alcuna forma di proprietà privata e i romeni divennero schiavi di uno stato comunista condotto per molto tempo direttamente da Mosca. Ho scelto per il mio libro il periodo fanariota perché non erano permesse critiche al regime comunista. I miei lettori hanno capito benissimo perché mi sono soffermato su quel periodo e il libro ha avuto anche un successo non dovuto soltanto alle sue qualità strettamente estetiche. Oggi continua ad avere successo, soprattutto tra i giovani, ai quali piace di per sé, a prescindere dai possibili collegamenti tra periodo fanariota e regime comunista…

 

Nelle storie dei sei capitoli di cui è costituito Almanacco, molti aspetti e procedimenti contribuiscono alla costruzione di un mondo illusorio: il vagabondare picaresco della coppia di protagonisti termina in un luogo simbolico deprimente, un lazzaretto, che tuttavia, da un punto di vista cristiano-evangelico, è promessa di liberazione e rinascita. Per Ioan e Zadic la vita è una schiavitù da cui ci si può liberare solo con la morte? Un critico suo connazionale, Paul Cernat, trovava in Almanacco, ma in generale in tutta la sua prosa, la costante di una “prospettiva narrativa sulla vita vista dalla morte”...

Credo che i due compari, Ioan il Geografo e Zadic l’Armeno, appartengano alla scuola cinica fondata da Diogene di Sinope, che visse per un po’ in una botte, come a un certo punto della loro vita hanno fatto anche i miei due eroi. E non dimentichi che Zadic si comporta ogni tanto come un cane: “cinico” viene dal greco κυνικός [kynikòs], che significa “alla maniera dei cani”.

 

Il suo editore italiano la presenta come un Borges dell’Est. Come commenta?

Certamente il paragone mi onora perché Borges è un grande scrittore che ammiro incondizionatamente. Ma, se stesse a me, mi considererei piuttosto un Diderot del Levante. Il mio libro Almanacco ha molti legami con Jacques le Fataliste dell’enciclopedista francese.

 

Tra il 1993 e il 2000 lei non ha più pubblicato letteratura. Perché? In una società più libera e senza censura ha attraversato una crisi creativa o sono intervenute altre motivazioni?

Prima del 1989 non si poteva fare giornalismo senza essere membri di partito, dell’unico partito esistente in Romania. Io non ne ero membro e così non potevo essere giornalista. Dopo il 1989, quando il partito comunista fu sciolto e apparvero quotidiani e riviste private, non sottoposte a censura, mi gettai freneticamente nel giornalismo. All’inizio fu per piacere, poi per obbligo, essendo nel frattempo diventato l’attività primaria con cui sbarcavo il lunario. Scrivevo 4-5 articoli a settimana, e così non avevo né tempo né voglia di fare letteratura.

 

Conosce scrittori italiani? Che parere ne ha?

Non conosco personalmente scrittori italiani, ma ho letto la maggior parte degli scrittori importanti da Boccaccio a Eco. Di quest’ultimo ammiro l’intelligenza e la cultura. Ha inventato un nuovo tipo di romanzo popolare (del resto, è uno specialista del padre del romanzo popolare, Eugène Sue), che molti prosatori, dallo spagnolo Arturo Perez-Reverte all’americano Dan Brown, imitano con notevole successo finanziario.

 

Sta lavorando a qualcosa in questo momento?

Sì, ho iniziato un romanzo ispirato al meraviglioso “nuovo mondo” inventato dall’utopista francese Charles Fourier.

 

Molte grazie per la sua pazienza. Mi auguro che anche le altre sue opere vengano tradotte in italiano. Come sua fan, non vedo l’ora di leggere il prossimo romanzo.

 

Paola Polito

(novembre 2012)


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