Lo scaffale di Tellus
Alessandra Borsetti Venier. Intervista a Riccardo Mansani sul romanzo “Clementina”
14 Ottobre 2012
 

Riccardo Mansani è l’autore della traduzione in italiano dal sassarese del romanzo Clementina di Palmiro De Giovanni (foto), appena pubblicato dalla casa editrice Morgana Edizioni.

 

– Come hai conosciuto Palmiro De Giovanni?

Posso dire che Palmiro De Giovanni mi è stato presentato da Clementina. Infatti l’ho incontrato per la prima volta quando già avevo deciso di tradurre il suo romanzo e già ne avevo tradotto un paio di capitoli. Mi accompagnò da lui una libraia sassarese che gli proponeva un’altra opzione: pubblicare una sua traduzione (sua di Palmiro) con Il Maestrale, prestigiosa casa editrice nuorese. Espressi il parere che un’autotraduzione, per giunta pubblicata da un editore locale, per quanto importante, fosse una veste editoriale troppo ristretta per un romanzo così moderno e che la mia proposta mi sembrava più interessante.

Ma in questo modo la mia Clementina diventerà la sua Clementina – mi rispose Palmiro con ingenuità giocosa. Stetti al gioco e lo rassicurai dicendogli che Moby Dick, nonostante la bella traduzione di Cesare Pavese, sarebbe sempre rimasto il capolavoro di Melville. Sorrise con la sua abituale modestia, come dire “non mescoliamo il sacro al profano”.

 

– Come ti è venuta l’idea di tradurre il suo romanzo Climintina scritto in sassarese?

Climintina aveva vinto nel 1992 il premio “Posada” per opere di narrativa in lingua sarda ed era stato pubblicato dalla Sozietade Editoriale Casteddu de sa Fae ma non aveva riscosso una grande attenzione. Nel 2008 il romanzo fu ripresentato a Sassari e io assistetti per puro caso a quella presentazione. Quello che mi colpì fu il contrasto tra la modernità della storia e la lingua nella quale era scritta che, alle mie orecchie, suonava come una caricatura popolaresca. Decisi di leggerlo e fu una rivelazione, un romanzo bellissimo, profondo, che senza rinunciare alla centralità della narrazione indaga a fondo la psicologia femminile con partecipazione sofferta e frequenti incursioni psicanalitiche. Credo che un dialetto diventi lingua quando riesce a trascendere la realtà locale nella quale è nato e arriva a esprimere sentimenti e situazioni universali, questo faceva Climintina.

L’idea di tradurlo in italiano e curarne la pubblicazione mi sembrò naturale, ma volevo farlo rigettando tutti quegli elementi di interesse linguistico o etnico che caratterizzano in genere l’approccio alla produzione “dialettale”.

Climintina era, a mio avviso, l’espressione di una “letteratura” autonoma e come tale doveva essere proposto: per il suo puro valore narrativo. Esclusi pertanto una pubblicazione con testo originale a fronte e pensai di cercare un editore non sardo cui proporre la pubblicazione. Diversamente avremmo fatto dell’antropologia. Proposi l’idea a Morgana Edizioni, e a te in particolare, che condividesti in pieno lo spirito dell’operazione. Credo sia la prima volta che una produzione cosiddetta dialettale venga trattata in questo modo.

 

– Come si è svolto il procedimento della traduzione?

Tradurre un testo è un’attività affascinante, ti permette di entrarci a fondo, digerirlo e restituirlo immutato, nella sostanza, ma in una veste che possa essere riconosciuta da un’altra sensibilità.

Non posso dire di avere usato un approccio colto o accademico: non sono un esperto o uno studioso della materia, ho semplicemente proceduto cercando di immedesimarmi nei personaggi, di capire il senso delle frasi e renderlo in italiano in piena libertà, ma immutato.

Altro discorso è stato per lo stile; Palmiro De Giovanni scrive in uno stile molto classico, direi manzoniano, facendo molto uso di incidentali con abilità tale da non appesantire la narrazione. Questo tratto dello scrittore è ciò che mi sono imposto di rispettare il più rigorosamente possibile.

 

– E la collaborazione con l’autore che aveva già scritto una sua traduzione in italiano?

A Sassari, nella generazione di Palmiro De Giovanni, vige un bilinguismo perfetto Italiano-Sassarese e lui, come accennavo all’inizio, aveva già una sua traduzione di Climintina. Credo che Palmiro avesse capito il senso della mia proposta e percepisse molto bene il fatto che una copertina del tipo:

Palmiro De Giovanni

CLEMENTINA

Traduzione di Palmiro De Giovanni

avrebbe trasmesso un messaggio dilettantesco di fatto in casa e provinciale che tradiva i contenuti del romanzo stesso e che, a lui non piaceva. Palmiro è uomo di vasta cultura ma in questo caso ha applicato spontaneamente, senza alcuna mediazione culturale, l’assioma linguistico della coincidenza tra mezzo e messaggio. Inoltre gli erano molto piaciuti i primi capitoli della mia traduzione. Nel proseguimento del lavoro gli dissi che credevo di aver capito il suo stile e avrei fatto tutto il possibile per renderlo in italiano. Gli mandavo i capitoli appena tradotti e lui non faceva mai pressioni per modificare la struttura del testo, anche dove la traduzione si discostava di più dall’originale. Al più interveniva a correggere qualche inesattezza dovuta a miei fraintendimenti del sassarese. Credo che si sia riconosciuto nella traduzione e abbia avvertito che il suo stile veniva rispettato. I nostri contatti sono stati frequenti, parlavamo del romanzo, ma anche dei suoi quadri fatti a collage, delle sue letture, della sua vita, tra noi è nata un’amicizia autentica, abbiamo parlato di tanti altri progetti che avremmo voluto perseguire insieme.

 

– Hai avuto particolari difficoltà a rendere una tematica così moderna da una lingua, il sassarese, considerata in modo riduttivo quasi un dialetto?

All’inizio ho fatto un po’ di fatica a liberarmi di quella patina caricaturale popolaresca che l’orecchio mi trasmetteva quando ascoltavo il sassarese parlato. Ero abituato a situare la lingua in particolari contesti - i locali del centro storico, i mercatini rionali - dove veniva sicuramente involgarita. Poi, procedendo con la traduzione ho cominciato a percepire il legame del sassarese con quei contesti come un’esperienza soggettiva e, in definitiva, un pregiudizio che non mi permetteva di immedesimarmi con la lingua in sé e con tutte le sue potenzialità. Superato questo ostacolo la traduzione è andata avanti con molta più agilità.

 

– Come hai stabilito un ponte tra i due sistemi linguistici e letterari, sardo e italiano?

Devo dire che non conosco benissimo il sassarese, ma penso che, nella traduzione di un testo letterario come Clementina, un testo scritto in un linguaggio abbastanza classico, che non gioca con le parole, non fa sperimentazione, una conoscenza perfetta della lingua non sia così fondamentale. Del resto vivo a Sassari da poco meno di 25 anni e della città credo di aver capito lo spirito, questo, insieme al ricchissimo Dizionario universale della lingua di Sardegna di Antonio Rubattu, mi ha aiutato molto. Inoltre, secondo le ipotesi linguistiche più accreditate, il Sassarese trae le sue origini dall’incontro tra il Logudorese (principale lingua sarda) con l’antico Pisano avvenuto intorno al XII secolo con la dominazione della Repubblica Pisana del nord Sardegna. Di questa parentela linguistica che inizialmente mi appariva poco credibile, mi sono persuaso sempre più con il procedere della traduzione ed essendo nato e vissuto fino a 30 anni in provincia di Pisa ho cominciato a riconoscere in questa lingua anche un po’ delle mie radici.

 

La prossima presentazione di Clementina si svolgerà in Sardegna a Mogoro (Oristano) nella Sala Conferenze domenica 21 ottobre ore 18.

 

Alessandra Borsetti Venier


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