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Francesca Giustini commenta l'articolo di E.M. Cipollini su “Padre padrone” di Gavino Ledda
26 Settembre 2012
 

Ringrazio Enrico Marco Cipollini per il suo saggio ben articolato, fedele alla sapiente forma analitico-filosofica che lo contraddistingue e che ci pone all’attenzione un argomento quanto mai attuale, nonostante la pretesa di credere che i tempi, nell’era tecnologica, possano essere cambiati; ma qualcosa sfugge all’evoluzione umana, qualcosa che trascende la modernità e le maglie dell’informazione dei media! Possiamo davvero affermare, a fronte di tante e tali sevizie psicologiche in ambito famigliare, che ogni giorno interrogano e investono la nostra coscienza con fatti di cronaca che lasciano attoniti, di aver sconfitto l’ignoranza?

L'immagine del padre autoritario, il padre-padrone, si ritrova sin dall'antichità, e si colloca tra le fasce più povere e reiette della società, la quale in questo senso, è parte in causa e matrice forgiante di una distorta interpretazione della paternità e dei suoi principi fondanti; principi obsoleti e scatenanti la sottomissione, permeati sulla cesura mentale alla quale consegue un parossistico atteggiamento comportamentale dell’autorità paterna, così esercitata in nome dell’insindacabile e Assoluto Diritto Proprietario sui figli, forte di tacite leggi patriarcali.

La dominanza, in ambito parentale, di un abnorme autoritarismo, consegue ed è indice di un volere esasperato e insensibile ai sentimenti, che per egoismo morale va ad esercitare la propria cieca volontà; ciò accade quando questa coercizione egoistica, che diviene l’erinni, la guerra individuale di tutto contro tutti, vorrebbe inconsciamente riscattare il peso della miseria, originata dalla sorda staticità culturale riversatasi su una economia contadina e sostanzialmente pastorizia, e che invece ritorce su se stessa le piaghe dell’ignoranza prima e quelle di una società, allora improntata su rigide gerarchie patrizie, poi. E di qui, ecco che solitudine e silenzio gravano sulla miseria economica e sulla sofferenza morale, fino a tramutarsi in violenza nell’ambito famigliare.

Le ragioni dell’anestesia affettiva del personaggio, Padre Padrone, nell’omonimo romanzo autobiografico di Gavino Ledda, legate appunto alla sofferenza morale e alla miseria materiale, sono quindi imputabili non solo ad una forma-mentis dello stesso protagonista, per quanto incompatibili e inconciliabili ad una razionale analisi che non può né vuole giustificarle, ma anche e in special modo, a quel periodo storico in cui l’analfabetismo regnava sovrano, e non solo in Sardegna; la condizione del volgo era tale da non sottovalutare la corresponsabilità di una colpa non più soggettivata ad un’azione individuale, ma altresì da confutarsi ad una Colpa Socialitaria, in quanto appiattimento prigionieristico-feudale del popolo pastorizio o contadino, di storica universalità.

La violenza psicologica, verbale e comportamentale derivante dal conservatorismo culturale- ideologico, si nutriva di coscienza storica d’atavico tradizionalismo e convenzionalismo, inclinanti ad un quasi legittimato atteggiamento socio-culturale fondato sui pregiudizi e sul conformismo in quel contesto storico territoriale; il risultato, non è quindi niente affatto paradossale e conferma ancor oggi in ambiti addirittura insospettabili e nonostante lo sviluppo economico-culturale, l’esistenza del padre-padrone che non trova ancora ai nostri giorni una connotazione anacronistica e continua paradossalmente a svilupparsi in molteplici forme psicotiche, con le sue devastanti ed inestirpabili radici.

 

Francesca Giustini


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