Le sculture di legno d'ulivo di Renè vengo a vederle tutte le estati e ogni volta è sorprendente cogliere come dai suoi tronchi di antico ulivo scaturisca la sacralità della forma. Ogni “prodotto” è godibile da qualsiasi parte lo si guardi e così gli sposi si baciano mentre un fiore nascosto ferma il velo della sposa, Eva mostra il seno turgido e palpitante ma celato al primo sguardo è il serpente avvinghiato quasi a disegnare meglio le sue splendide spalle. Alla forza delle sculture, le pitture ancestrali di donne, compaiono come bassorilievi di tempi greci nella pittura di Concetta Coluccia. Il pittore e scultore Raffaele Capraro presenta nature morte ed oggetti in pietra salentina. Il quadro della mela offre un'immagine di forte impatto e recita la coscienza del tempo che passa, trasmuta e si eclissa nelle grinze del frutto. La natura offre vita e morte sembra dirci Capraro anche nel cappello in pietra leccese, pietra ricca d'ombre che assume molteplicità di riflessi a secondo delle esposizioni alla luce.
Il cappello è lasciato lì come prima di un abbandono, di un saluto, come dopo un'assenza protratta e proprio perché solitario si offre a molte riflessioni. È presente per la prima volta a Castro, Nicola Pavese. Sulla sua pittura trascrivo il commento di Duccio Trombadori: «Terre rosse, gialli e vivido arancio, accompagnano i suoi dipinti come condimenti di una ricca pietanza. Ci vuole coraggio e pazienza per inseguire la voce eterna del Sud, il palpitare, verseggiare dell'essere, l'abbandono mediterraneo al fatale, proporzionato gioco dei sensi». Ci vuole coraggio dico anch'io e passione aggiungo e mi sembra che tutta l'esposizione respiri accogliente la forza di questo mare.