Lo scaffale di Tellus
Gordiano Lupi. Il regime cubano riabilita Cabrera Infante 
Uno scrittore che non avrebbe mai voluto essere riabilitato da loro
La lettura di
La lettura di 'Tres Tristes Tigres' è capace di cambiarti la vita... 
17 Settembre 2011
 

Guillermo Cabrera Infante è uno dei più grandi scrittori cubani di tutti i tempi. Non per niente si è aggiudicato il Premio Cervantes come Alejo Carpentier e Dulce María Loynaz, la prima donna ad averlo vinto. Il problema è che fino ad alcuni anni fa non si poteva dire, era un sacrilegio accostare il nome dello scrittore esule a Londra e in polemica con il castrismo, al sacro appellativo di Carpentier e di Loynaz. Sarebbe eccessivo anche dire che non si doveva nominare, perché non è vero, ma si doveva farlo badando bene a metterlo in secondo piano rispetto ad altri scrittori cubani vicini al potere, ritenuti “più importanti e prestigiosi”.

Ecco perché adesso sconcerta vedere nelle librerie cubane un saggio come Sobre los pasos del cronista - El quehacer intelectual de Guillermo Cabrera Infante en Cuba hasta 1965, che riporta in copertina la frase elogiativa di Víctor Fowler: “uno dei più grandi scrittori della letteratura nazionale di tutti i tempi”. Elizabeth Mirabal (1986) e Carlos Velazco (1985) sono gli autori di questo libro, pubblicato ad agosto 2011 da Ediciones Unión e vincitore niente meno che del prestigioso Premio UNEAC, sezione saggistica.

Guillermo Cabrera Infante è un autore sconvolgente, la lettura di Tres Tristes Tigres (in italiano Tre tristi tigri, si trova ancora per Il Saggiatore) è capace di cambiarti la vita. Niente a che vedere con autori decorativi come Carpentier e Loynaz, mai trasgressivi, sempre misurati e cortesi. Cabrera Infante è l’irrazionale che fa irruzione nella letteratura, è come un graffito, un’opera astratta, un quadro surreale, capace di aprirti mondi nuovi. Cabrera Infante è il jazz nella narrativa, lo showtime, la parte centrale del concerto, quella che conferisce una quota aggiuntiva di sabor (alla cubana) all’esibizione, il momento in cui il jazzista suona la tromba, dando vita a un assolo fantastico.

Il libro ripercorre gli anni passati nella capitale da Cabrera Infante: da quando giunse all’Avana dalla piccola cittadina orientale di Gibara, nel 1941, appena adolescente, fino ala sua partenza definitiva, avvenuta nel 1965, in aperta polemica con la Rivoluzione Cubana. Come era prevedibile, gli anni successivi al trionfo rivoluzionario saranno compresi nella seconda e nella terza parte del volume, che forse non usciranno mai. In ogni caso è un buon punto di partenza, perché si apre una nuova porta critica e si comincia a parlare anche a Cuba di uno scrittore importante per la cultura latinoamericana.

La riabilitazione di Guillermo Cabrera Infante va di pari passo con i festeggiamenti previsti nel 2013 per commemorare il centenario della nascita di Virgilio Piñera (1913), uno scrittore osteggiato dal regime, famoso per la frase pronunciata dopo il discorso agli intellettuali di Fidel Castro: «Dico solo che ho paura, che ho molta paura». Che Guevara, con riferimento al teatro di Piñera una volta disse: «Buttatemi nel secchio i libri di questo frocio!». Sono tutte cose da non dimenticare. La cultura ufficiale cubana va alla ricerca dei suoi morti prestigiosi, ormai incapaci di infastidire, ma ottimi per essere proposti come esempio di grande letteratura, magari dopo averli epurati dei particolari fastidiosi. Non è un gioco che possiamo appoggiare.

 

Gordiano Lupi


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