Cara Rina
Ieri scrissi una lettera a te diretta e il signor dottore mi disse che non era adatta perché troppo scoraggiante eppure mi sento tanto male che non capisco come il dottore possa dire certe cose. Dunque mi trovo in uno stato di prostrazione tale e anche di esaltamento che non ci vorrebbe che un vero amore per salvarmi, ma capisco che questo è anomalia: Che il dottore bensì gentile mi ha guardata certe volte con certi occhi che mi hanno spaventata e mi hanno fatto morire di vergogna per te mia cara.
…neanche posso rispondere alla tua cartolina, con una certa conclusione perché l’ho persa. Non ti stupirai se ritardo tanto, ma mi succedono delle cose così strane, che davvero temo, sento ancora alcune… temo di perdere la testa del tutto. Vieni al più presto a vedermi, e ti convincerai del mio stato. Vieni, vieni mia carissima Rina. Ti amo che me stessa. Vorrei vederti più spesso. Spero che la tua visita mi farà bene. Addio, addio. È troppo scuro e non ci vedo più. Coraggio e speranza.
Mamma
(senza data)
[Estratto da: Sebastiano Franco Veroli, Donne in manicomio. Le ricoverate a S. Croce nel decennio 1890-1900 – “Il caso di Ernesta Cottino Faccio”, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea “M. Morbiducci”, Macerata 1998
Scelta dei testi di Patrizia Garofalo ed Elisabetta Andreoli
Fotografia di Elisabetta Andreoli]