Valerio Evangelisti (foto), scrittore bolognese, tradotto in tre continenti e in quindici lingue, diventato celebre per avere riportato in vita padre Nicolas Eymerich detto Magister (realmente esistito nel XIV secolo), inquisitore generale d’Aragona che affronta peripezie di ogni genere. Protagonista di ben dieci romanzi che hanno fatto la fortuna del suo autore, fra’ Eymerich, nella sua ultima e conclusiva avventura dal titolo Rex tremendae maiestatis (Mondadori), è ospite della famiglia Chiaramonte, presso il castello di Mussomeli. Un regalo e una pubblicità piovute dal cielo per la diffusione che i romanzi di Evangelisti hanno a livello internazionale. Basti ricordare il frequentatissimo sito internet: www.eymerich.com/BlogEngine.
Abbiamo intervistato Evangelisti.
– Riconosce nel magister il suo alter ego letterario?
In parte sì. Ho riversato in Eymerich il peggio di me, proprio per potermene liberare. In effetti, da quando ho iniziato a scrivere le sue avventure, sono diventato molto più buono e socievole.
– Tra i suoi romanzi, quale ama di più?
Un romanzo senza Eymerich, Noi saremo tutto. Mi è stato molto difficile scriverlo, perché il protagonista è squallido e meschino, totalmente privo della cupa grandezza dell’inquisitore. Sono contento che sia diventato una sorta di romanzo “di culto” fra gli studenti.
– In Francia lei è un autentico idolo letterario. E in Italia?
Una parte della critica mi apprezza, un’altra parte mi ignora. Pochissimi mi attaccano. Non mi preoccupo molto, mi interessano i lettori, con cui ho un rapporto diretto. Non sono tanti da fare di me un autore di bestseller, però mi seguono generazione dopo generazione. Alcuni miei romanzi hanno avuto oltre trenta ristampe.
– Perché ha scelto proprio il castello di Mussomeli come teatro del suo ultimo romanzo Rex tremendae maiestatis?
Ne ho visto le foto in un libro, Svevi, Angioini e Aragonesi alle origini delle Due Sicilie. Ne sono rimasto incantato. Credo che sia uno dei castelli più belli e singolari d’Italia. Sono rimasto scandalizzato dal fatto che, in un recente sceneggiato televisivo, sia stato spacciato per il castello di Carini. Ho scritto il mio romanzo anche per riparare, in certo qual modo, a questa vergogna. Sono lieto che gruppi di miei lettori si stanno organizzando per visitare Mussomeli, appena torna la bella stagione.
– La sua documentazione storica è eccellente, ma sono davvero esistiti tutti i libri di cabala, alchimia, teologia e filosofia che lei cita?
Sì. Ho una formazione di storico, non citerei mai un libro inesistente. Anche tutti gli estratti che riporto, inclusi i più bizzarri, sono autentici. Ho una biblioteca esoterica piuttosto folta. Nasce da interessi storico-filosofici, non occultistici.
– Dei baroni siciliani lei scrive: «In quest'isola passare da un partito all'altro è evento quotidiano». Ieri come oggi?
Ehm, temo di sì. Se può consolare, non è un problema solo siciliano.
– Di Eymerich scrive: La sua religione era un carro da battaglia che non ammetteva deviazione alcuna. Non le fa un po' paura convivere con l'inquisitore generale di Aragona?
No, ci convivevo bene perché lui era parte di me. Magari avrò paura adesso, che non l’ho più al mio fianco.
– Conosce gli scrittori siciliani di ultima generazione? Cosa ne pensa?
Leggo in prevalenza saggistica, e lasciando da parte Vincenzo Consolo e altri che sono ormai dei classici, ho apprezzato molto Silvana Grasso e Maria Attanasio, Paolo Di Stefano e Matteo Collura. Tra gli autori “di genere”, il bravissimo Santo Piazzese, Guglielmo Pispisa, Chiara Palazzolo ed Egle Rizzo, che sono stato fra i primi a segnalare. Però non sono un critico letterario e non conosco tutto.
Roberto Mistretta
(da La Sicilia, 11 marzo 2011)