Due SÌ: all'abrogazione del nucleare e del legittimo impedimento. Molto semplice per il nucleare: visto che le alternative di produzione energetica ci sono, fintanto che la scienza non ci dirà cosa fare delle scorie, non ha senso correre anche un minimo pericolo. Altrettanto semplice per il legittimo impedimento: si tratta della reintroduzione surrettizia di norme bocciate e ri-bocciate in passato, ritornate a galla solo per una prova di forza della maggioranza di governo contro l'opposizione, ma totalmente inutili anche per “non dare impedimento” a chi ci governa nella sua opera.
Meno semplici e più articolati i quesiti per l'acqua pubblica o privata. I referendum a nostro avviso non risolvono, ma bloccano l'economia e alimentano l'incapacità pubblica.
Il primo referendum chiede di abrogare le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, modalità in cui, però, si ribadisce che acqua e impianti vari di trattamento sono e restano un bene pubblico. I promotori non vogliono che i Comuni possano affidare la gestione anche a società private o miste privato/pubblico.
Il secondo referendum intende abrogare la remunerazione del capitale investito in materia, quindi anche quello di chi presta i soldi ad un ente pubblico.
Purtroppo i fautori del SÌ e quelli del NO (che puntano essenzialmente sull'astensione perché non sia raggiunto il quorum e la consultazione sia invalidata) hanno reso banale una questione che invece non lo è. I fautori dell'abrogazione ci e si illudono che, vinto il referendum, l'acqua tornerà pubblica e tutto funzionerà bene. Lo schieramento opposto, confermato lo status quo, ci vuol far credere che tutto va bene e il mercato è salvo.
Così non è in entrambi i casi. Il problema maggiore che la risorsa acqua ha nel nostro Paese è la normazione nazionale e regionale, che cambia in continuazione ed ha contribuito -pubblico o privato non cambia- ad una situazione in cui -con poca o tanta acqua- si depura o non si depura, si paga o non si paga, fino a vere e proprie elusioni. Un contesto in cui ne risentono qualità, equità dei servizi idrici e sostenibilità ambientale: la legge Galli del 1994, che prevede la copertura dei costi tramite tariffa con servizi adeguati ai livelli territoriali, è sempre punto di riferimento.
Il problema è che la risposta che il nostro sistema politico-istituzionale ha dato fino ad oggi, è condizionata da un modo di gestione della cosa pubblica dove l'interesse dell'utente finale del servizio è spesso considerato alla stregua di “limone da spremere” e senza nessun reale controllo pubblico.
L'esempio Publiacqua,* azienda fiorentina che sostiene di fare gli interessi degli utenti, è lo specchio di questa situazione: un privato “cattivo” che il quesito referendario vuole ricondurre a pubblico, ma che è solo il pessimo pubblico che continua ad essere pessimo pubblico, in metodi (conflitto di interesse: i Comuni sono contemporaneamente gestori e controllori della società) e sistemi (interessi utenti all'ultimo posto: per loro inefficienze gestionali fanno pagare le bollette anche due volte). Forse che Publiacqua trasformata in ente pubblico sarebbe diversa da Publiacqua Spa controllata dagli enti pubblici? No!
Il problema è che la legge che prevede la presenza dei privati per dare respiro economico e di mercato ad un settore che ha bisogno di tanti soldi, viene elusa con troppi e pesanti condizionamenti pubblici. E si vuole riconsegnare a questi 'pubblici' il tutto? Se la situazione oggi -pur con le dovute differenze da zona a zona, ché tutto è a macchia di leopardo- è quella che è, non è certo colpa della possibile apertura ai privati, ma di un pubblico che ha distrutto con clientelismo, nepotismo, interessi di parte, incapacità e mancanza di professionalità. Un pubblico a cui ci si è illusi di far seguire un privato che non ha potuto essere tale perché mascherato sempre da pubblico.
Avremmo quindi bisogno di un pubblico senza conflitto di interessi, in grado di controllare i privati (o anche altri pubblici o misti che però non siano se stessi). Bandi di gare per l'affidamento delle gestioni. Un'Autorità nazionale di controllo, con altrettante diramazioni territoriali, che sia emanazione anche dei cittadini utenti, e con nessuna commistione coi gestori dei servizi.
Per questo i referendum sull'acqua serviranno solo a bloccare l'esistente in una prospettiva di tornare indietro e negandoci la possibilità di una gestione privata di qualità, rispettata e apprezzata per questo, e non per le manfrine politiche e/o per il suo essere pubblico mascherato.
Per questo invitiamo a votare NO.
A differenza dei detrattori del referendum (la terza scheda che la Costituzione ha dato in mano agli elettori dopo quella politica e amministrativa) per far fallire l'eventuale abrogazione di un quesito su cui mezzo milione di elettori ha chiesto che sia chiamato il corpo elettorale a decidere, noi crediamo che sia importante andare a votare. La legge sui referendum è pessima e, fintanto che non ci sarà una su riforma, il gioco è truccato per il grosso potere che ha chi non vuole l'abrogazione; ci vorrebbe: abolizione del quorum, pronuncia preventiva, rispetto alla raccolta firme, della Corte Costituzionale sull'ammissibilità dei quesiti, semplificazione delle procedure di autentica delle firme.
Tutto questo per rendere tale un meccanismo di democrazia partecipativa e non farlo essere una sorta di plebiscito pro o contro il governante o l'odiato di turno, come per alcuni sono gli attuali quesiti. Questo anche per portare su un binario di certezza del diritto ciò che oggi è molto provvisorio, diventando buono o cattivo in base alle tifoserie e alla loro popolarità: l'ammissione del referendum contro le centrali nucleari trasferendo le vecchie norme da abrogare (non più esistenti) su quelle di una normativa successiva alla richiesta di referendum, per quanto noi siamo contro le centrali nucleari, è a nostro avviso un precedente pericoloso che, visto l'uso distorto dei referendum che viene abitualmente fatto, è quasi certo che un domani si ritorcerà contro gli attuali beneficiari. Il problema esiste e va combattuto, ma non per questo non votiamo SÌ al quesito sul nucleare.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc
* Società a capitale misto, controllata dai Comuni della zona e con forti presenze azionarie di altre società pubbliche come la romana Acea, è a sua volta pubblicamente controllata dall'Aato (autorità idrica di zona) che è espressione dei medesimi Comuni azionisti... e questa sarebbe privatizzazione con controllo del pubblico sul privato? A me sembra conflitto di interessi con pubblico che ha solo cambiato casacca. Una situazione che si ripercuote sulle capacità di questa società di essere sul mercato e attirare capitali: ai grossi investimenti che sta facendo per la necessaria modernizzazione della propria rete riesce a trovare soldi solo penalizzando gli utenti finali con aumenti che fanno di quella fiorentina una delle più alte tariffe idriche d'Italia. Nel contempo Publiacqua continua ad ignorare la situazione che fa andare alle stelle le bollette: la maggior parte degli utenti fanno riferimento al contatore condominiale per la cui lettura sono praticamente obbligati a usare società letturiste esterne che lucrano per l'intermediazione con Publiacqua e che -è accaduto ed è in corso- talvolta raccolgono i soldi, non pagano Publiacqua, falliscono e gli utenti devono pagare a Publiacqua quanto hanno già pagato al letturista. Domanda: perché Publiacqua non investe a partire dagli utenti, cioè a metterli in condizione di avere un rapporto diretto con lei e abbassare anche del 50% le attuali tariffe? Risposta: perché Publiacqua rende conto solo ai suoi azionisti, che sono gli stessi enti pubblici che dovrebbero controllarla. Situazione in cui qualunque investitore puro e non drogato dalla politica, scappa a gambe levate.