Puro humo non è un soltanto un libro, ma un contenitore di storie, ricordi, sogni, libri, pellicole, legati al mio vizio prediletto, un vizio che non potrò mai abbandonare. È la storia del tabacco che comincia nel 1492 con la scoperta dell’America per colpa (o per merito) del marinaio Rodrigo de Jerez. È la celebrazione del tabacco e dell’arte di fumare questa strana foglia, una rapsodia dedicata alla sigaretta e alla pipa. Ma è soprattutto una cronaca erudita del rapporto che intercorre tra il sigaro e il cinema, due mie grandi passioni. Non a caso compare in copertina la foto di Groucho Marx con il sigaro in bocca mentre chiede che qualcuno accenda il suo Avana. Ho pubblicato questo libro per esaudire il suo desiderio, perché il sigaro diventasse prima fumo e poi cenere.
Puro humo l’ho scritto in inglese con il titolo di Holy smoke, nel 1985. Troppi anni di esilio nella vecchia Londra - un’intera vita - mi hanno trasformato in uno scrittore ispanico capace di scrivere nella lingua di Shakespeare. Uno dei pochi doni ricevuti dall’esilio, insieme alla cultura inglese. Nella mia Avana non avrei mai praticato il rito del tè alle cinque del pomeriggio, mi sarei assuefatto alla cultura del caffè, rinunciando al vizio dei popoli civilizzati per una tradizione barbara. Nel 2001 mi sono tradotto Holy smoke in spagnolo, ma non posso chiamarla una vera e propria traduzione, quanto una riscrittura, ché non sarei stato capace di tradurre me stesso nella mia lingua madre. Il Gruppo Santillana ha pubblicato un’edizione a Madrid per Punto de lectura, dopo che il mio Holy smoke aveva fatto furore a Londra e a New York. Anthony Borgess disse che scrivevo un inglese straordinario e Susan Sontang si meravigliò che qualcuno potesse possedere una prosa brillante in due lingue così diverse. “È capitato con Nabokov, Beckett e adesso succede anche con Cabrera Infante”, affermava. Mi ha fatto piacere, certo, ma vedere il mio libro nella mia lingua è stata la soddisfazione più grande.
Il tabacco è stato scoperto a Gibara, a casa mia, il marinaio di Colombo è andato a stanare gli indios che lo fumavano proprio nella mia terra natale. Era destino che fossi un grande fumatore, che scrivessi la storia del tabacco e ne tessessi le lodi, era mio dovere rendere omaggio alla foglia più strana e al dono più affascinante della natura. Il mio amore per il tabacco è pari alla passione per il cinema, il mio libro serve a spiegare anche quello, mettendo in rapporto sigaro e celluloide.
Tutto è cominciato nel nuovo mondo, dove il tabacco era un oggetto per stregoni, serviva per i riti magici, per evocare gli spiriti delle tenebre. Tutto è cominciato con Colombo, quando il marinaio della nave ammiraglia vide gli uomini-ciminiera a Gibara, indigeni che tenevano un tizzone ardente tra le mani. Colombo non scoprì l’oro a Cuba, almeno non l’oro giallo, ma scoprì l’oro marrone, il tabacco. In Colombia e in Perù gli indios sniffavano coca, in Uruguay e in Argentina bevevano mate, i cinesi sorbivano tè. Colombo trovò il tabacco a Cuba e portò il piacere del fumo nella vecchia Europa, a bordo di una nave, portandolo via con sé, in compagnia della sifilide. I due grandi regali che Cuba ha fatto al mondo sono il cancro al polmone e la sifilide, mica roba da poco. Gli spagnoli contrassero la malattia venerea dagli indios cubani che l’avevano endemica, oltre a esportare il vizio del fumo.
Per merito di Colombo nasce la mitologia urbana della sigaretta, l’immagine della femme fatale che fuma con la sua grande bocca, Bogart con la sigaretta tra le labbra e lo sguardo languido, il cinema di serie B con eroi e cattivi che fumano, i gigolò all’angolo di strada e pure Bette Davis che non smette un istante. Il tabacco comincia la sua storia insieme al mais, la sola cosa gialla trovata da Colombo in America, ma la foglia marrone conquista il mondo, mentre il mais resta un comprimario.
Che Guevara prima di naufragare a Cuba era un medico asmatico che non toccava un sigaro neppure con un dito. Fumava la pipa, ma a Cuba si è convertito al sigaro, perché la pipa era cosa da yankee. Oscar Wilde afferma che la musica ti fa ricordare un tempo mai esistito, anche se in qualche caso quel passato c’è stato, ma adesso si chiama musica, il suo nome è nostalgia. Vorrei dire la stessa cosa sul tabacco, ché un sigaro è come una passione, si accende, arde, brucia con vigore, finisce in cenere e si consuma.
Se accendi un sigaro non devi farlo spengere, ché i fumatori accaniti non smettono di fumare neppure per un istante. Fernando Ortíz - autore del Contrappunto cubano dello zucchero e del tabacco - è stato un grande fumatore, come Churchill e Fidel Castro (l’unico vivo, ma ha smesso di fumare). Carlos Franqui, scrittore cubano in esilio ma ex rivoluzionario (non è più tra noi, nda), può passare ore con un sigaro tra le dita senza accenderlo. Non è un fumatore, ma tiene il sigaro in mano, come un’abitudine che ripete giorno dopo giorno. Il tabacco si fuma sempre nei momenti d’ozio, soltanto la sigaretta permette di fumare lavorando. Sigaro e pipa vanno fumati in pace e tranquillità, in meditazione solitaria, mentre masticare tabacco non va più di moda, in ogni caso richiede spazio e poter disporre di una sputacchiera.
I conquistadores disprezzavano il tabacco, pestifero e vizioso veleno del diavolo, lo definiva Hernán Crtés. Per i cubani il detto non va più bene, ché tutto deve fare i conti con il tabacco, persino la potenza sessuale. Ricordo il doppio senso di Benny Moré, il barbaro del ritmo, quando canta: “Ti è caduto il tabacco, fratello/ ti è caduto. Tu mi avevi detto che era acceso./ Ma ti sei dimenticato di dirmi che il tuo tabacco ti è caduto”. Un uomo che ha perso la virilità è uno che “gli è caduto il tabacco”… A Cuba fumare il sigaro è un vizio comune, si fuma persino nelle fabbriche di sigari, ché il lettore di libri mentre gli operai lavorano fuma il sigaro.
Vecchi presidenti cubani come Batista e il dottor Grau non erano fumatori, ma Castro ha cambiato il mondo, con lui il sigaro si è trasformato in una nuova arma offensiva, anche se la Cia ha tentato più volte di farlo saltare in aria ricorrendo al sigaro. Sartre era un fumatore accanito, ma dopo l’appoggio di Castro all’invasione sovietica della Cecoslovacchia non volle più saperne. “No más puros impuros!”, esclamò. Non più sigari (puri) impuri!
Il sigaro pervade con il suo aroma cinema e letteratura.
Groucho Marx ha fatto del sigaro la sua maschera ironica, ma anche Italo Svevo si ricorda per l’ultima sigaretta de La coscienza di Zeno. Cesare Zavattini, grande sceneggiatore italiano neorealista, visitò Cuba per la prima volta negli anni Cinquanta, insieme a Silvana Mangano che aveva tra le labbra una sigaretta.
I sigari grandi accompagnano gli uomini piccoli, le sigarette sono per i tipi alti, la pipa si associa all’uomo medio, di mezza statura, età e classe. I mendicanti e i ricchi preferiscono i sigari, i pistoleri e le puttane le sigarette, mentre la pipa è per gli scrittori del mistero e per i detective. Pure gli uomini di cinema sono affezionati alla pipa. Poe si è bevuto tutto il bevibile (a parte l’acqua), dal vino al whiskey, passando per la morfina, ma non è stato un grande fumatore. In compenso hanno fumato molto i personaggi dei racconti del mistero, da Sherlock Holmes a Monsieur Dupin, i più grandi uomini di pipa della letteratura inglese. A Dickens piaceva il tabacco, ma senza esagerare, Tolstoj non ha mai smesso di fumare, per lui scrivere e fumare andavano di pari passo, venivano fuori romanzi monumentali, se non finiva il tabacco. Gogol ha inventato un personaggio (Jevakin) che viveva in una casa dove l’unico arredamento era una pipa, ma tutte le pagine di Gogol abbondano di fumatori.
La mia storia del tabacco è anche una raccolta di citazioni, un’antologia dedicata al fumo, al sigaro e alla pipa, ma persino alla più modesta sigaretta, soprattutto di scrittori in lingua inglese, ché l’inglese resta la lingua del fumo. Il sigaro è la ricerca dell’arte, diceva Fernando Ortíz. Lezama Lima capovolgeva i fattori: la mia arte è la ricerca di un buon sigaro. Paradiso, il capolavoro di Lima è un libro incredibile, fumoso, barocco, poetico.
Il vizio del fumo è universale. Persino gli spioni fumano, per finire morti di fumo, anche le pistole emettono fumo, fumano le ciminiere e i tubi di scappamento delle auto. Fumano gli scrittori…
Il fumo è un’industria che diventa arte. Quando fumo il mio sigaro in pace, tranquillo, nell’oscurità, quella che un tempo è stata una foglia raccolta in un campo, diventa un faro dell’anima. Un sigaro dopo il caffè è il massimo. Caro il mio Beckett, attendiamo pure Godot, ma con una pipa o un sigaro l’attesa è meno lunga.
Gordiano Lupi
Il racconto va letto come un apocrifo di Guillermo Cabrera Infante ispirato a Puro humo (Punto de lectura, 2001). Non conoscendo l’inglese non ho letto Holy smoke (1985), che è la primitiva versione inglese di un testo inedito in Italia. Il titolo italiano sarebbe Puro fumo, ma si perde il gioco di parole tanto caro a Cabrera Infante - che amava Raymond Queneau - costituito dal doppio significato del termine puro (a Cuba sta per sigaro).