“Se non ora, quando? Adesso!”: mi sembra molto strano che nei variegati e un po' superficiali commenti che seguono lo tsunami delle amministrative, non si sia mai nemmeno nominato quell'avvertimento così significativo, che è stato ed è il movimento nato il 23 febbraio (e continua): eppure mostrava già alcuni dei caratteri del citato sommovimento. Il fenomeno è ancora da leggere e analizzare adeguatamente: ma non si potrà partire nelle riflessioni, ripetendo la solita e insopportabile e ingiusta parzialità per la quale ciò che appartiene alla cultura patriarcale tiene la scena e qualsiasi altro soggetto (persino quello maggioritario delle donne) viene subito marginalizzato e cancellato. Altri segnali si erano accumulati e non li abbiamo colti, dallo sciopero della Fiom alle “trattative” Fiat, ecc. ecc.
Ma tra gli avvertimenti pochi hanno avuto la limpidezza e la determinazione della grande manifestazione su tutte le piazze, promossa appunto da “Se non ora, quando?”. Tra l'altro essa mostra una insofferenza, un disgusto, una rabbia diffusa su temi che ancora sono presenti e irrisolti nei luoghi del potere e agitano la società: non approvazione del testamento biologico, delle unioni di fatto, della legge contro l'omofobia: nella cultura femminista data dal 13 febbraio un forte e diffuso accento laico, una insofferenza verso la sottomissione della politica in Italia al Vaticano, e l'adeguamento della Cei (non tutta). Nonché lo scandalo per lo sconcio patto tra Chiesa e morale sessuale berlusconiana. La contraddizione non è chiusa, ma naturalmente le violenze verbali di Bossi tengono i titoli dei giornali, mentre l'annunciato voto contrario della ministra Carfagna sulla legge contro l'omofobia, manomessa dalla maggioranza non viene quasi citato. Nemmeno da noi. Avrei voluto dare un contributo di analisi ai grandi eventi che stanno maturando e che almeno per noi della Federazione della Sinistra smentiscono uno dei dogmi correnti e cioè che senza presenza in TV (per noi addirittura una inespugnabile censura) non si sopravvive: invece possiamo farcela.
Non ho finora detto nulla su tutto ciò, perché mi mancano i dati elementari di informazione: quante sono le elettrici, quanti gli elettori; quante le candidate e quanti i candidati; e quante le elette e quanti gli eletti, quante le astensioniste, quanti gli astensionisti. Certo, rispetto a un patriarcato becero, violento e prepotente posso anche adattarmi a un patriarcato soft, magari addirittura gentile, ma non posso dichiararmi soddisfatta. Dato che noi donne siamo più numerose degli uomini, vorrei sapere se l'astensionismo sia più diffuso tra le donne, e perché. Vorrei che il patriarcato se ne occupasse almeno per il proprio interesse e nel contempo si degnasse di fornire dati sui comportamenti delle elettrici, non dimenticando che conquistare il voto delle elettrici è un compito generale.
Né che il predominio politico maschile, non contenuto da norme, si chiama sopraffazione di genere e se persone che si definiscono di Sinistra o addirittura comunisti non avvertano la contraddizione cocente, anche di etica politica, in cui si trovano.
Chiedo almeno che -dopo i ballottaggi- si pretenda formalmente che i dati vengano forniti disaggregati per appartenenza di genere, cosa che un tempo si faceva: perché non più?
Lidia Menapace