Lo scaffale di Tellus
Alberto Figliolia. "Non mi ricordo gli occhi" di Giuliano Trentadue
24 Marzo 2011
 

Giuliano Trentadue

Non mi ricordo gli occhi

Mursia, pagg. 22, € 13,00

 

Un viaggio all'inferno. Negli inferi del consorzio umano. Nel pozzo nero dell'anima. Nella parte più oscura di sé. Nell'innominabile.

Daniele è un liceale diciassettenne, milanese, di buona famiglia, padre chirurgo all'Istituto dei Tumori. Anche la famiglia che pare perfetta ha, tuttavia, delle sbavature, piccole crepe attraverso cui si scorge (e per il quale finisce per entrare) il vuoto. Un nulla totalizzante, terrorizzante, popolato di un silenzio definitivo, nel quale s'agitano i flutti della solitudine, la grande ipocrisia sociale, l'incomunicabilità.

Non mi ricordo gli occhi è il romanzo d'esordio di Giuliano Trentadue, 59 anni, uno che da lungo tempo evidentemente macina idee e scrittura. Difatti il suo libro è un'opera prima solo per dire, come mero dato statistico, in quanto la finezza della penna dimostra, senza dubbio, un'assidua frequentazione con l'universo della scrittura. Il lettore viene preso invincibilmente dalle pagine che scorrono impietose e spietate, con tutta l'arduità esistenziale che trapela e trasuda.

In discoteca Daniele incontra per caso un giovane rumeno, Gabro, capo di una gang. È l'inizio di una travolgente, stravolta e amara Odissea, un cammino iniziatico al contrario, la scoperta di un mondo in cui il sesso a pagamento e la violenza stordiscono, piegano e piagano la volontà degli individui. Un rovinoso sussultorio sconsolato sprofondare nel gorgo di un inconsulto orrore. Si è innescato un inarrestabile meccanismo di autodistruzione.

Una storia estrema, senza paraventi, dove il cupio dissolvi ha il sopravvento, come il sapore del male che ti ritorna in gola... L'odore del mare, come uno schiaffo... Una mano che cerca la mia e poi di nuovo quelle voci lontane e vicine, e il ronzio del mare intorno al corpo e nelle orecchie mentre ti lasci andare.

S'indovina che l'autore ha un certa dimestichezza anche con la poesia, visto il lirismo che traspare, quasi un ossimoro, se si fa una comparazione con la durezza del racconto che si dipana sempre più nero e serrato. Fino alla fine. Una fine che è davvero fine. Senza speranza. Forse il maggior pregio del libro consiste nell'esplorazione, seppur disperata, di questo buco nero in cui ogni luce viene risucchiata implodendo.

Eppure... La tua mano cerca la mia e le nostre dita si stringono forte. Più forte. E quella lacrima che affiora nei tuoi occhi ti ha già portata via.

Basterà un piccolo gesto di tenerezza perduto nel rumore del mondo, brevi pensieri come petali caduti al suolo, parole d'amore come spine nel cuore del passato facendone sgorgare un sangue dolce, a donare un anelito di salvezza?

 

Alberto Figliolia


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