Sapete cos'è un trickster? La traduzione italiana è “imbroglione”, ma la connotazione negativa del termine nella nostra lingua non rende davvero l'idea. Potremmo avvicinarci ad una comprensione migliore definendolo un personaggio che modifica la realtà, o più esattamente modifica la percezione della realtà nelle persone che entrano in contatto con lui o lei.
Praticamente ogni società umana ha una leggenda o una fiaba su questo personaggio, che può essere una dea o un dio (Brigit, Loki, Eshu, Hermes), un mortale (Sherazade e i vari “buffoni” di corte o di villaggio) e persino un animale: le mitologie abbondano di volpi, coyote, corvi e topi che fanno cose davvero strane.
Il trickster è un muta-forma, cambia apparenza, racconta storie per prendere tempo o per confondere i suoi oppositori, usa l'umorismo e gli indovinelli, fa giochi di abilità per distrarre, si finge stupido o inconsapevole, mantiene un'impassibile faccia tosta nel bel mezzo del caos. Spesso questa figura è riverita come sacra nelle varie culture, perché il nobile trickster sfida i limiti ed i confini per un motivo preciso: il suo scopo è aiutare le persone a comprendere verità importanti, che senza il suo intervento esse non vedrebbero o non sarebbero capaci di accettare.
Le difensore dei diritti umani delle donne sono le trickster più intelligenti della nostra epoca. Le loro tecniche incorporano la danza, il canto, le risate, i fiori, l'arte, la cultura, parole e silenzi, svelamenti e travestimenti.
Quando devono confrontarsi con un soldato o un'intrusione armata, sanno immediatamente imbastire una protezione mantenendo l'espressione di consumati giocatori di poker: “Le mie colleghe saranno qui a minuti”; “Ero al telefono con il Ministero proprio in questo momento...”; “Ho già chiamato la polizia...”; “Ma tu non sei il figlio della mia amica?”; “Ah sì, il capovillaggio, di cui sono parente, me parlava proprio ieri...”... E poi esagerano o fingono infermità e periodi mestruali, esaltano i propri collegamenti internazionali o li negano completamente. Usando una semplicità disarmante, soffice e non minacciosa, con la faccia tosta o il più clamoroso dei travestimenti, allontanano la violenza, la smontano, e cambiano il mondo.
Le trickster lo spiegano così:
«In alcuni villaggi, i mariti insistevano per controllare i nostri incontri fra donne. Tentammo varie strategie, per tre anni, per trovare un modo in cui le donne potessero parlare senza essere interrotte o azzittite dai loro mariti. Alla fine fu la cucina a darci il mezzo. Cucinare insieme, imparare proprietà degli alimenti, ricette, eccetera. Chiedemmo agli uomini di partecipare, ma questo era troppo per loro: non volevano aver niente a che fare con la cucina. Così se ne andarono. E noi potemmo tenere i nostri incontri indisturbate». Una difensora dei diritti umani delle donne di Most, Bosnia (che vuole mantenere l'anonimato).
«Dovemmo fronteggiare molte difficoltà quando sollevammo la questione dei diritti di proprietà. Eravamo pesantemente criticate e continuavamo a ricevere minacce anonime di ogni tipo. Ad un certo punto, persino la Federazione Hindu cominciò a protestare contro il nostro movimento e le nostre richieste, ritenendo che noi stessimo sfidando i principi religiosi. Noi rispondemmo che stavamo sfidando la struttura sociale, e che la cosa non aveva a che fare specificatamente con la religione hindu. Non solo non volevamo offenderli: stavamo implicando che anche le donne buddiste e le donne musulmane hanno gli stessi diritti, cosa che a questo punto furono costretti ad accettare. A volte bisogna essere un po' furbi nel portare avanti i movimenti». Sapana Pradhan Malla (foto), difensora dei diritti umani delle donne, Nepal.
«Mentre cammini per strada, può saltar fuori un uomo, o più d'uno, che ti dice cose del tipo: “Scommetto che se faccio sesso con te non sarai più una lesbica”. Come posso essere libera, qui? Mi prendo la mia dose di odio solo uscendo di casa. Quando la paura passa il livello di guardia, cambio modo di portare i capelli, cambio vestiti. Ma assolutamente non cambio me stessa». Zoe Gudovic, attivista per i diritti delle persone omosessuali, Belgrado, Serbia.
«Usiamo il tempo che passiamo insieme sui campi. Coltiviamo, raccogliamo, innaffiamo, e parliamo delle violazioni dei nostri diritti umani e di come contrastarle». Josephine Kavira Malimukona, difensora dei diritti umani delle donne, Repubblica democratica del Congo.
«Une delle tecniche è stata continuare a 'fare le donne': cucito, cucina, eccetera, come mezzo per entrare in contatto con le altre ed aiutarle a comprendere la realtà della loro situazione e dei loro diritti umani. Altre attiviste hanno ricevuto l'aiuto delle Peace Brigades International: membri di questa associazione vivevano nelle loro case, le accompagnavano alle manifestazioni o agli incontri. I membri delle brigate sono pacifisti e amici della nonviolenza che vengono dall'estero: dietro ognuno di loro c'è un'ambasciata straniera, e questo per la protezione dalla violenza conta. Le donne dicevano che averli al proprio fianco era come avere un'intera ambasciata dietro di te». Emerita Patinio Acue, difensora dei diritti umani delle donne, Colombia.
Maria G. Di Rienzo
(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 11 marzo 2011)