Diario di bordo
Valter Vecellio. Fatti e cifre di un’emergenza colpevolmente ignorata
29 Novembre 2010
 

Non ne parla più nessuno. A dire il vero, anche qualche settimana fa non è che la questione fosse particolarmente “sentita”. Ora, comunque, è completamente sparita, in altro si concentra l’attenzione. Intanto nelle carceri si continua a morire e a marcire. Le notizie che arrivano sono le “solite”, e come al “solito” vengono valutate: non essendo divertenti, non sono neppure interessanti; e dunque non si pubblicano. Ma le notizie ci sono, eccome.

 

Il Lazio, per esempio: si registra un nuovo “record” di detenuti, sono ben 6.434; vale a dire 1.760 oltre la capienza delle carceri.

Un flusso che sembra crescere in maniera inarrestabile: il 24 novembre, per la prima volta in assoluto, è stata sfondata quota 6.400 presenze.

Il dato peculiare che rende la situazione particolarmente grave è che secondo i calcoli nella regione la popolazione detenuta cresce, su base annua, a un ritmo quasi doppio rispetto alla media nazionale: 12 per cento nel Lazio contro il 7 per cento del resto d’Italia. Quasi la metà dei detenuti, 3.081 persone, è in attesa di giudizio definitivo mentre i condannati definitivi sono 3.336. I detenuti stranieri sono 2.533.

Le situazioni più critiche a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece 157), Viterbo (quasi 300 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare), Frosinone (quasi 200 in più), Rebibbia N.C. (oltre 400 in più) e Regina Coeli (quasi 400 in più). A Rebibbia Femminile le donne dovrebbero essere 274, sono invece 111 in più con tutti i problemi che questo comporta, anche nella gestione delle recluse madri con i figli da 0 a 3 anni al seguito.

Ancora “senza soluzione” i casi delle carceri di Rieti e di Velletri dove nuove strutture con oltre 300 posti pronte per essere utilizzate sono chiuse per carenza di agenti. A Rieti, in particolare, il nuovo carcere da 306 posti ospita 107 reclusi in due sole sezioni aperte e sovraffollate. Stesso discorso per Velletri, dove un nuovo padiglione per oltre 200 detenuti da tempo ultimato è chiuso.

 

Andiamo ora a Bologna.

Siamo di nuovo ai materassi in terra” per far dormire i detenuti del carcere bolognese della Dozza. Lo riferiscono tre parlamentari bolognesi del PD, Donata Lenzi, Sandra Zampa e Rita Ghedini, che hanno effettuato una visita all’interno del penitenziario: «Non cambia niente, stessi numeri ormai da due anni, immutabile cifra della disperazione», sostengono.

Alla Dozza ci sono 1.158 detenuti su una capienza di 483 posti e verso una presenza tollerabile di 882, si legge nella relazione diffusa dal Pd: «Siamo di nuovo ai materassi in terra». La presenza del personale invece, è «inversamente proporzionale» visto che la pianta organica prevede 567 unità di Polizia penitenziaria, continua la relazione, ma sono 520 quelle assegnate e «solo 385» quelle effettivamente in servizio.

 

A Lecce, ora, il cui carcere viene definito invivibile: per ogni recluso non più di 3 metri quadrati in cella.

Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura sostiene che sette metri quadrati sono lo spazio minimo sostenibile per un detenuto in cella. Nella Casa Circondariale di Borgo San Nicola a ogni recluso non se ne garantiscono più di tre.

I posti disponibili sarebbero, a norma di legge, circa 660; le “presenze” sono quasi 1.500. È azzardato parlare di una vera e propria tortura di massa? Le norme igienico-sanitarie sono un miraggio: persone affette da patologie, anche gravi, non ricevono i trattamenti adeguati, le temperature estive che superano i 50 gradi, i nove metri quadrati di una cella con tre detenuti dentro, compreso il water ed il letto a castello a tre piani che costringe qualcuno a dormire con la fronte a 30 cm. dal soffitto.

A tutto questo si va aggiunta una situazione insostenibile per gli operatori penitenziari: alcuni poliziotti lavorano da soli, senza alcun aiuto, in sezioni detentive lunghe 50 metri e con circa 70 detenuti.

 

Non va meglio a Pescara: il carcere di San Donato scoppia, 199 detenuti a fronte di una capienza di 105.

Un sovraffollamento di quasi il 100 per cento, con 199 detenuti a fronte di una capienza di 105 detenuti nel reparto giudiziario. Il nuovo campanello d’allarme sul carcere di San Donato che scoppia arriva dalla segreteria regionale della Uil/Pa penitenziari. «Da un lato», si legge in un comunicato, «la grande attenzione per la popolazione detentiva che diversamente da altri istituti è estremamente tranquilla, pur essendo nel solo reparto aperto (quello giudiziario) un sovraffollamento di quasi il 100 per cento. Dall’altro la scarsa attenzione per il personale di polizia giudiziaria, trascurato e costretto a operare sempre in emergenza. Non è possibile lavorare in questa situazione e assicurare il minimo dei diritti, riposi, congedi, permessi sindacali, con l’inevitabile ripercussione sulla sicurezza dell’istituto e gravando sullo stato del personale in servizio».

 

A Lamezia Terme, infine: in una cella rinchiuse nove persone, di notte un solo agente sorveglia tutto il carcere.

Nove persone rinchiuse in una sola cella per 20 ore al giorno. Tutti affollati su tre letti a castello, intorno a un tavolino in un corridoio stretto, e con un bagnetto. Vita da carcerati, non c’è dubbio. Ma dietro le sbarre del carcere di Lametta Terme diventa ancora più difficile. Ci sono 90 detenuti e 20 agenti penitenziari attivi nei corridoi, altri 10 negli uffici amministrativi. Ma il carcere potrebbe ospitare massimo 50 persone, e dovrebbe essere dotato di un agente per ognuno di loro.

Il carcere lametino è interessato da tempo da un notevole sovraffollamento se si considera che la capienza regolamentare è di 30 posti e quella tollerabile di 50, mentre i detenuti oscillano dagli 80 ai 90, determinando una percentuale di sovraffollamento tra le più alte d’Italia.

C’è un solo sovrintendente in servizio per turno perché tanti agenti sono distaccati altrove, e diversi non si trovano al lavoro per motivi di salute, e presto potrebbero andare in prepensionamento. Personale ridotto significa anche che c’è un solo agente donna e quando c’è l’accesso al carcere dei familiari dei detenuti bisogna fare ricorso a dipendenti di supporto che arriva da altre sedi. Manca anche un educatore, ogni tanto ne arriva uno che deve far fronte alle richieste di 90 detenuti. La situazione obbliga il personale ad effettuare gravose ed estenuanti turnazioni di lavoro, senza che possano essere assicurate adeguate condizioni di sicurezza nella struttura penitenziaria. Un solo agente per notte non basta a fare i dovuti controlli nella struttura.

 

Valter Vecellio

(da Notizie Radicali, 29 novembre 2010)


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