Oblň cubano
Yoani Sánchez. Il paese delle lunghe ombre
28 Novembre 2010
 
La Sicurezza di Stato controlla i dissidenti sotto le loro abitazioni, li segue, li rende radioattivi. A Cuba vige ancora il pensiero unico ed è un’utopia parlare di pluralismo e di libera espressione del pensiero. Nonostante le menzogne del regime. Yoani Sánchez ci racconta come stanno realmente le cose…

 

Il controllo della Sicurezza di Stato

 

Ci sono due uomini all’angolo della strada. Uno di loro porta un auricolare attaccato all’orecchio, mentre l’altro guarda verso la porta dell’edificio. Tutti i vicini sanno bene perché si trovano lì. In un appartamento del palazzo vive un dissidente e i due membri della polizia politica controllano chi sale e chi scende le scale, avvisano se “l’obiettivo” varca la soglia dell’enorme condominio e tengono l’auto a portata di mano per seguirlo ovunque vada. Non cercano di nascondersi, perché vogliono far capire che quel soggetto portatore di opinioni critiche è schedato, in maniera tale che gli amici e i conoscenti temano di avvicinarlo e si allontanino per non cadere anche loro nell’apparato di controllo, nella ragnatela della vigilanza.

 

Tecniche repressive

 

Non si tratta di un caso isolato. A Cuba ogni persona non conforme possiede la sua ombra o un gruppo di agenti che lo seguono. I cosiddetti “poliziotti della sicurezza” utilizzano anche sofisticate tecniche di supervisione, come controllare la linea telefonica, piazzare microfoni nelle abitazioni e individuare dove si trova una persona tramite il segnale del suo telefono mobile. L’Avana da un po’ di tempo a questa parte pullula di telecamere piazzate in molti incroci, tramite le quali vengono monitorati i delitti comuni, ma si fa pure attenzione al lavoro di gruppi oppositori, giornalisti indipendenti, associazioni civiche e cittadini che la pensano in maniera diversa dal partito che governa. Il romanzo fantascientifico dello scrittore George Orwell si è materializzato a Cuba in una complessa rete tecnologica che comprende anche un esagerato numero di poliziotti in abiti civili. Occhi che scrutano in ogni direzione, dossier dove vengono inseriti gli individui non conformi individuati grazie a questi controlli, per avere in futuro la possibilità di citare la persona spiata davanti a un tribunale. Le conseguenze sulla vita personale e sociale di chi subisce uno di questi programmi di vigilanza sono così devastanti, che i cubani chiamano la Sicurezza di Stato con nomi terribili come “l’Apparato”, “l’Armageddon” o “la Distruttrice”. La Sicurezza è l’incubo ricorrente di chi è già stato vittima dei suoi apparati operativi ed è sempre per la sua presenza che altri mantengono la maschera della simulazione, temendo di essere inclusi nei suoi tenebrosi archivi.

 

La crisi economica non colpisce la polizia

 

In un paese in crisi economica, dove vengono annunciati tagli della forza lavorativa attiva fino a un 25%, risulta curioso che il numero dei membri del Ministero degli Interni non venga ridotto. Tutto il contrario, la spesa preventivata dallo Stato per il settore militare e per la sicurezza è in aumento dal 2004 a oggi. Se qualcosa ha caratterizzato il mandato di Raúl Castro è un aumento costante della presenza di poliziotti, militari e vigilanti a ogni angolo. Questi controllori si vedono in gran numero nei centri culturali quando si tengono eventi, si infiltrano nelle code per entrare al Festival del Cinema come a un concerto di hip hop. Non più tardi di alcuni mesi fa hanno impedito l’accesso di alcuni blogger alternativi alla mostra cinematografica dei giovani registi. Fortunatamente una piccola telecamera nascosta ha registrato la scena e i volti delle ombre, che intimidiscono e incalzano tutelati dall’anonimato, sono stati visti da migliaia di persone fuori e dentro l’Isola. Gli esclusi di quella sera hanno presentato la preziosa testimonianza visiva di fronte a un tribunale e hanno fatto una denuncia contro l’apartheid culturale, ma non hanno ricevuto una risposta giuridica e meno che mai una scusa istituzionale.

 

Muscoli contro opinioni

 

A volte fa pure sorridere vedere come un uomo disarmato e pacifico, forte solo delle sue parole e dei suoi argomenti, venga seguito da diverse auto e da poliziotti muniti di walkie-talkie e di un’apparecchiatura tecnologica che sembra più adeguata per i film d’azione che per la realtà. È una situazione abbastanza ridicola vedere individui con i muscoli allenati per colpire, attendere ore di fronte alla casa di un oppositore e incalzarlo persino quando porta il suo cane a orinare o va a comprare un pacchetto di sigarette. Se non fosse una cosa molto triste ci sarebbe da ridere. Anche se sono stati formati con i metodi del KGB sovietico, ognuno di questi protagonisti dell’intimidazione si crede una specie di Rambo, pronto a fare sfoggio delle sue conoscenze di karate quando qualcuno si ribella o quando la persona fermata non vuole lasciarsi obbligare a salire con la forza in un’auto con targa privata, senza ordine di arresto. Sono specialisti nello sferrare colpi che non lasciano segni, nel provocare lussazioni che nessun medico vuole annotare in un referto e nel minacciare le conseguenze più temute dalla vittima. In poche parole, sono specialisti in terrore e minacce. Godono i privilegi tipici di chi difende il potere: un fine di settimana al mare, un’auto importata dalla Cina, un salario superiore alla media nazionale e una borsa di alimenti addizionali ogni mese. Benefici capaci di trasformare questi personaggi in fedeli membri di una macchina repressiva.

 

Braccia rubate all’agricoltura

 

Tuttavia la gente non li ama, anche se sfoggiano volti eroici e si autodefiniscono difensori della sicurezza nazionale. Oggi, per esempio, si ripete spesso una frase con riferimento al numero esagerato di poliziotti della sicurezza che girano intorno a ogni persona non conforme. In tono basso e guardandosi alle spalle, molti dicono con sarcasmo: “Mancano così tante braccia per l’agricoltura e questi passano la giornata a controllare chi ha un’opinione diversa dal partito al governo”. Sarebbe meglio se invece di penalizzare le opinioni e stringere d’assedio il pluralismo, si dedicassero a lavori produttivi per la nazione. Se invece di proiettare la loro lunga ombra sui critici del sistema, la lasciassero cadere sopra una piantina di lattuga o di pomodoro, su quel solco - oggi vuoto - che potrebbero aiutare a seminare.

 

Yoani Sánchez

(da El Comercio, Perù, 28 novembre 2010)

Traduzione di Gordiano Lupi


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