Le vergognose minacce indirizzate a Giuseppe Rinaldi, Presidente provinciale dell’Anpi, e a Giuseppe Cecini, entrambi valorosi partigiani, sospettati di aver imbrattato con la scritta: “Vergogna!” una frase di Mussolini, incautamente o furbescamente ripristinata dalla decorsa amministrazione comunale di Grosio (So) dopo la sua cancellazione avvenuta il 25 luglio ’43, fanno riflettere sul particolare momento storico che stiamo attraversando, caratterizzato da colpevole ignoranza o, peggio ancora, da rigurgiti di fascismo.
Mi pare corretto ricordare i fatti, dei quali sono testimone. Il 25 luglio’43 il Gran Consiglio del fascio, allo scopo di discutere dell’andamento di una guerra stolta e comunque già persa, vota a grande maggioranza (19 voti contro 7) l’ordine del giorno Grandi col quale si restituisce al re il comando supremo delle forze armate. L’unica decisione votata, presa da fascisti, pone fine al mussolinismo. Gli italiani, ebbri di felicità, si riversano sulle strade e sulle piazze, abbattendo le insegne del fascismo e del Duce. Succede anche a Grosio, con la cancellazione, a furor di popolo, del motto di Mussolini apposto su di una parete del Municipio. Consiste in una delle tante manifestazioni di bolsa retorica fascista e populismo. Non ha alcun valore storico. Me ne ricordo altre, tutte clamorosamente smentite dai fatti. Eccone alcune: “La parola d’ordine è una sola: Vincere!” “Spezzeremo le reni alla Grecia”. “Se avanzo seguitemi, se indietreggio, uccidetemi!” Quest’ultimo slogan crolla miseramente prima della sua cattura a Dongo, quando Mussolini dimostra tutta la sua viltà, abbandonando i “suoi” camerati e rifugiandosi, travestito da tedesco, in un camion di tedeschi.
La storia deve esaltare chi lo merita; e ricordare i fatti perché facciano meditare. Ebbene, fin dalle origini, il fascismo è stato un movimento antidemocratico che ha umiliato i cittadini e prodotto tanti morti e tanto dolore. Merita invece di essere rammentata, perché onora i cittadini di Grosio, la cancellazione della scritta del 25 luglio, che è l’espressione di una volontà popolare finalmente libera dal giogo del totalitarismo.
La decisione di ripristinare quella scritta, anche se astutamente depurata del riferimento all’Era Fascista, forse per evitare d’incorrere nell’eventuale reato di apologia del fascismo, rappresenta per tutti i democratici, non solo di Grosio, un’offesa profonda nei confronti di chi ha combattuto per restituirci l’onore e la dignità calpestati per vent’anni. E la Libertà.
Con tutto il clamore suscitato dalla vicenda, mi sarei atteso, sulla stampa locale, il ricordo della battaglia di Grosio. Ma, a quanto mi risulta, nessuno ne ha scritto. Eppure è fondamentale per capire. Ebbene, il 18 aprile ’45 a Grosio si combatte la battaglia decisiva non solo per le sorti del conflitto in Valtellina, ma forse in tutta Italia. Sono giunti dalla Germania all’incirca un migliaio di miliciens francesi in appoggio alle forze nazifasciste. Superato Grosotto stanno risalendo verso nord per rafforzare i presidi nazifascisti di Grosio e creare il famoso “ridotto alpino della Valtellina” quando, all’altezza della centrale dell’AEM, vengono attaccati dai patrioti. Lo scontro, duro ed aspro, continua per tutta la giornata. I fascisti francesi, vedono esplodere i loro due grossi automezzi carichi di armi e munizioni e viveri e lasciano sul terreno diversi uomini. Solo alcuni riescono a ricongiungersi con i camerati di Grosio. Nell’occasione, perdono la vita due coraggiosi comandanti partigiani, Guglielmo Pini e Emilio Valmadre. A combatterla ci sono anche Giuseppe Rinaldi e Giuseppe Cecini. Con quella vittoria, cade l’ipotesi del ridotto alpino. Mussolini, a questo punto, decide di tentare la fuga isolata verso la Svizzera ma, controllato dai pochi fascisti che non si “perdono” per strada e dalla colonna dei tedeschi, finisce in bocca ai partigiani di Musso, si rifugia vilmente in un camion tedesco, travestito da soldato tedesco, ma viene scoperto a Dongo. Rinaldi e Cecini, dieci giorni dopo, prendono parte all’ultima battaglia, quella di Tirano del 27-28 aprile, vinta dai patrioti e che segna la fine dell’oppressione nazifascista in Valtellina.
Tutti i cittadini di Grosio dovrebbero inchinarsi di fronte a chi, portandosi dentro forti valori, ha rischiato la vita per Grosio, per la Patria e per la Libertà. Valori di democrazia, di eguaglianza, di pace e di libertà recepiti dalla Carta Costituzionale, frutto delle lotte di Liberazione. Valori che oggi, grazie anche a Rinaldi e Cecini, appartengono a tutti, anche a coloro che, non avendo capito nulla dalla storia, si permettono prima di irridere e poi di minacciare due validi partigiani. A Giuseppe Rinaldi e a Giuseppe Cecini, va il nostro totale apprezzamento e la nostra completa solidarietà.
Sergio Caivano
Consigliere nazionale Anpi
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